MICHAEL GIRA
BLOOM
MEZZAGO (MI)
28 MARZO 2014
KURT VILE + PALL JENKINS
BIKO
MILANO
3 APRILE 2014
MARK KOZELEK
BIKO
MILANO
6 APRILE 2014
Nel giro di poco più di una settimana, tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, il pubblico milanese ha avuto modo di assistere alla performance di quattro tra gli artisti più amati in circolazione, nella tipica veste raccolta e intima delle performance acustiche. Ad aprire le danze di questo tutto immaginario “festival acustico” è stato Michael Gira, sulle assi del palco dello storico Bloom di Mezzago. Abituati alla deflagrante violenza del suono dei suoi Swans, uno potrebbe anche rimanere spiazzato da un tipo di performance del genere. In realtà, Gira è un songwriter originale e di prima grandezza – lo ha dimostrato negli anni, sia con gli Swans, che con gli Angels Of Light, nonché con le sue raccolte soliste – ed in questa versione voce più chitarra acustica non fa che sottolinearlo, dando tutto il risalto possibile alla grana delle sue canzoni, alle insondabili profondità della sua voce, ad un repertorio che mantiene un magnetismo spesso raggelante anche senza dover ricorrere al temibile suono della sua band. Il carisma di un personaggio come Gira è infatti innegabile: basta praticamente la sua presenza ha creare un mood e a predisporre l’animo a lasciarsi stregare da canzoni come Jim, My True Body, Helpless Child, Love Will Save You, Piece Of The Sky o God Damn The Sun. Per un’ora e mezza si rimane come sospesi in un mondo oscuro, un mondo dove non serve neppure capire a pieno le parole, ma solo abbandonarsi ad una voce profonda che, come guida per ascendere dalle tenebre alla luce, non potrebbe essere più perfetta. Sold out annunciato quello per l’accoppiata Pall Jenkins – Kurt Vile nel Biko, locale in effetti fin troppo piccolo per l’evento, posto in periferia di Milano. Coda chilometrica fuori dalle sue porte, un palchetto basso basso che impediva a chi non era in prima fila di vedere qualsiasi cosa ed un’organizzazione non proprio impeccabile, hanno creato qualche piccolo malumore, anche se poi, facendo sedere buona parte del pubblico in terra, la situazione s’è infine aggiustata. Il leader dei Black Heart Procession – anche con l’aiuto di pedali e di una drum machine – ha presentato le canzoni del suo nuovo progetto allestito con Larry Yes (The Yukon Dreams), canzoni che come sempre veleggiano sulle ali della malinconia ma che qui si sono colorate anche di folk e di un classicismo sixties pop per certi versi inedito nel suo canzoniere. Una quarantina di minuti circa di gran bella musica. Il grosso del pubblico era qui però per Kurt Vile, coccolatissimo astro nascente del cantautorato U.S.A., forte tra l’altro di un album riuscitissimo quale Wakin On A Pretty Daze, seguito dell’altrettanto interessante Smoke Ring For My Halo. In realtà, il sottoscritto ritiene Vile un songwriter un po’ sopravvalutato e ancora troppo monocorde, decisamente più bravo nell’allestimento di un sound che si allarga ad inglobare un po’ di psichedelia, piuttosto che realmente capace di scrivere canzoni che restino. La sua performance per voce e chitarra acustica (e banjo in un brano), pur non avendomi proprio deluso, ha confermato i miei dubbi: senza il suono della band, non tutte le canzoni riescono a spiccare come dovrebbero e pure la voce un po’ strascicata e senza grandi guizzi non ha aiutato. Pochissime vere emozioni e non certo lo show di uno che viene accreditato quale uno dei migliori cantautori della sua generazione. Certo, pezzi come Smoke Ring For My Halo o Wakin On A Pretty Day, tra le altre, mostrano un indubbio talento, ma su di lui non me la sento di sciogliere le mie riserve. Canzoni grandissime senza sé e senza ma, invece, quelle di Mark Kozelek, protagonista pochi giorni dopo, sempre al Biko, di un concerto svoltosi all’insolito orario delle 20. Il recente Benji a nome Sun Kil Moon è uno dei dischi più belli della sua lunga carriera, e nelle quasi due ore di concerto questo disco è stato non poco saccheggiato. Personaggio assai particolare Kozelek, assai ciarliero sul palco, ma sempre un po’ spigoloso, pungente e sarcastico anche nei confronti del pubblico (con pure qualche scivolamento politicamente scorretto di dubbio gusto), capace poi però di spezzarti il cuore con le sue storie disperate, con le sue melodie intrise di struggente malinconia, con l’asciutezza livida di folk songs che non concedono attennuanti in primis a loro stesse ed al loro autore. Ce ne ricorderemo a lungo, insomma, di queste due ore passate con uno dei personaggi più controversi ma intensi del rock degli ultimi vent’anni.
Lino Brunetti