OD FULMINE
Od Fulmine
Greenfog – The Prisoner Records
Ormai da anni, mensilmente, vengo seppellito da una quantità inumana di dischi nuovi. Non che mi lamenti, sia chiaro, ma, oltre alla preoccupazione di finire come quel tale che ha passato gli ultimi anni della sua vita a dormire in macchina, sfrattato dalla sua insana passione per il vinile, c’è la frustrazione di non riuscire a dedicare la giusta attenzione alle molte cose che mi arrivano. Molte volte, addirittura, se ne accumulano così tante che non riesco neppure a sentirle (e colgo qui l’occasione per scusarmi con i molti – musicisti, etichette, uffici stampa – che mi inviano le loro cose e hanno pochi o nulli riscontri da parte mia: sappiatelo, faccio il possibile!). Molti di questi dischi, probabilmente la maggior parte, sono ovviamente italiani e, considerando quanto piccolo sia il nostro mercato, sorgono spontanee alcune domande e considerazioni: a chi son rivolte tutte queste uscite? Sono semplici bottiglie lanciate in un enorme oceano con dentro messaggi che si spera un giorno raggiungano qualcuno? Chi si fa carico dei costi di registrazione, produzione, stampa e diffusione di questi supporti, spesso caratterizzati da confezioni e booklet più curati ed eleganti di quelli delle più titolate etichette straniere? Cosa vuol dire, oggi, tenere in piedi un’etichetta discografica e che aspettative ha uno che della musica voglia fare la sua vita? Tutte domande a cui dare una risposta univoca e chiara pare sempre più difficile. Prendiamo ad esempio questo esordio dei genovesi OD FULMINE. Quintetto formato da Mattia Cominotto (voce e chitarra), Fabrizio Gelli (voce e chitarra), Stefano Piccardo (voce e chitarra), Riccardo Armeni (basso) e Saverio Malaspina (batteria) – musicisti con un passato in formazioni ben note quali Meganoidi, Numero 6, Esmen – gli Od Fulmine sono autori di canzoni rock in italiano, vigorose ed elettriche, sempre sostenute da un sound chitarristico e moderatamente ruvido, in cui viene data una certa attenzione sia al versante lirico che a quello melodico. Basterebbe insomma un piccolo spostamento da una parte o dall’altra per farli diventare un progetto più cantautorale o, per contro, più nettamente pop. La qualità media, sia pur senza ancora aver raggiunto una propria spiccata personalità, è molto buona, sia a livello di scrittura che di grana del suono: a dimostrarlo, tra le altre, ci sono le atmosfere ombrose ma intrigantemente melodiche di 40 Giorni; una ballata sentita e solida quale 5 Cose; la pimpante I Preti Dormono; la scura ed elettrica, con anche una bella parte di tromba ad opera di Luca Guercio, Ghiaccio 9; l’intensa Fine Dei Desideri che tutto chiude. Tutto bello insomma, niente da dire, come dicono loro stessi in bilico tra Hüsker Dü e Luigi Tenco; nello stesso tempo, però, anche non troppo appariscenti, più attenti alla sostanza che agli effetti speciali, forse anche troppo medi per imporsi con forza nello scenario musicale attuale. Il che ci riporta alle domande iniziali: quale sarà il destino di questo album e della sua band? Quello di un messaggio gettato nel nulla? Lo so che in giro c’è tantissima musica, tantissimi dischi e che è difficile dare credito a degli esordienti, italiani per di più, però sarebbe un peccato se queste canzoni rimanessero inascoltate. Noi quel messaggio lo abbiamo raccolto. E voi? Che farete?
Lino Brunetti