Love And Emotion. A Story About Willy DeVille

Love And Emotion. A Story About Willy DeVille

(Pacini Editore, collana Fanclub, 160 pagine, 16,50 euro)

De Ville

E’ disponibile, nei principali negozi on line e, a richiesta, in tutte le librerie, la versione tradotta in inglese del fortunato libro di Mauro Zambellini, Love And Emotion. Una storia di Willy DeVille. Uscito nella primavera del 2013, Love And Emotion. Una storia di Willy DeVille si è rivelato, nel corso dei due anni fin qui trascorsi, la prima e l’unica biografia al mondo dedicato a Willy DeVille e, in quanto tale, un piccolo atto di giustizia nei suoi confronti visto che, dalla sua scomparsa nell’estate 2009, era stato dimenticato, fin troppo presto. La passione, prima di tutto, con cui Mauro Zambellini ha raccontato, attraverso il suo labour of love, la storia di un artista unico, si è rivelata contagiosa. Prima Love And Emotion. Una storia di Willy DeVille è diventato l’occasione per ricordarlo in un lunghissimo e variopinto tour, poi ha cominciato a raccogliere consensi tra la comunità internazionale dei suoi fans ai quali, come è ovvio, la versione originale suonava ostica ed esotica nello stesso tempo. La decisione di renderlo in inglese (grazie alla collaborazione di Holly Pilar, la cui traduzione si è sviluppata in stretta collaborazione con l’autore) è stata possibile anche dall’intuizione della Pacini Editore che ha voluto mantenere l’esclusiva nel rapporto con Mauro Zambellini, e di conseguenza anche rispetto ai diritti internazionali. Fedele al suo impianto originale, con la prefazione di Kenny Margolis (storico tastierista e fisarmonicista di Willy DeVille, già con lui ai tempi dei Mink DeVille) e l’impianto iconografico, anche nella sua traduzione Love And Emotion. A Story About Willy DeVille è la conferma che l’idea di colmare un grande, incomprensibile vuoto e di rendere omaggio a un indimenticabile talento dell’arte, della musica, e della vita ha toccato davvero le corde dei sogni, delle emozioni, trovando la luce nelle profondità della storia di un beautiful loser.

CHRISTOPHER PAUL STELLING “Labor Against Waste”

CHRISTOPHER PAUL STELLING
Labor Against Waste
Anti/Self

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Ha tutte le caratteristiche dell’hobo, del troubadour, del folksinger vecchio stampo Christopher Paul Stelling. Nato In Florida, a Daytona Beah, dopo aver mollato il college, s’è messo a vagabondare per gli Stati Uniti, soggiornando brevemente in posti quali il Colorado, Boston, Seattle, il North Carolina, per approdare infine a New York, Brooklyn per la precisione. Non che pure lì si sia fermato poi così tanto, visto l’enorme numero di concerti che si sciroppa ogni anno (quattrocento negli ultimi tre), ma diciamo che quello è il posto dove in teoria avrebbe casa. Vive on the road Stelling, ancora e sempre alla ricerca di qualcosa che dia un senso al suo vivere, che gli indichi la via per capire fino in fondo chi è se stesso. E cosa di meglio quindi della strada, dei mille incontri che offre, della necessità di adattamento a cui ti obbliga, del modo in cui ti costringe a guardare al fondo del tuo cuore e della tua anima. Musicalmente parlando, le radici da lui stesso dichiarate stanno dalle parti di bluesmen quali Skip James e Mississipi John Hurt, geni come John Fahey, grandi banjo players come Dock Boggs e Roscoe Holcomb. Noi, per buona misura, ci aggiungeremmo almeno il primo Dylan, giusto per far quadrare il cerchio. Prima di questo esordio su Anti, aveva già pubblicato due dischi, Songs Of Praise And Scorn del 2012 e False Cities del 2013, ma sarà probabilmente con questo Labor Against Waste che finirà con il lasciare il segno. E questo non perché la sua sia, come potete intuire, musica particolarmente originale, ma perché viva e pulsante, sincera nel suo amalgamare i suoni della grande tradizione americana pre war e folk con il cantautorato di personaggi come Bob Dylan e Van Morrison, sporcando il tutto con il country fuorilegge di Waylon Jennings, con un pizzico di giovanile furia punk, ma pure con quel necessario soffio “pop”, tanto da avere la possibilità di diventare beniamino anche di quanti amavano i primi Mumford & Sons. Dotato di grandissima tecnica chitarristica – ascoltare per credere – Christopher Paul Stelling ha una voce autentica e una buona mano nello scrivere canzoni efficaci, a partire dalle ruspanti Warm Enemy e Revenge, passando per una splendida ballata come Scarecrow, per un indiavolato bluegrass quale Horse, per una gotica e drammatica Death Of Influence (potreste immaginarvela nel repertorio di Dylan, come di Wovenhand o degli O’Death), per l’emozionante crescendo di corde e violino di Dear Beast. Il tutto con l’ausilio di voce, chitarre acustiche, un violino, qualche percussione e poco più. Disco fresco e pimpante, nel genere tra i migliori dell’anno.

Lino Brunetti