L’OCÉAN “Primio”

L’OCÉAN
Primio
GP2 Servizi/O.F.F. Studio

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Che la musica possa essere sollievo ed aiuto in molti modi non sono certo io ad inventarmelo. Che possa essere un modo per tirare fuori potenzialità inespresse e veicolo comunicativo, neppure. A dimostrarlo senza tema di smentita c’è il lavoro che Luca Valisi fa da anni con i ragazzi della Cooperativa Sociale GP2 Servizi, una cooperativi per disabili. L’Océan è una vera e propria band, che fa musica originale, che suona dal vivo (recemente li ho visti prima dei Sorge di Emidio Clementi), che non si limita insomma ad essere un esperimento chiuso fra quattro mura. Ad ulteriore testimonianza di quanto vado dicendo, l’uscita di Primio, il loro album d’esordio, realizzato inoltre col contributo di alcuni nomi noti e piuttosto importanti (la produzione di Fabrizo Modenese Palumbo dei Larsen, la registrazione di Paul Beauchamp, il missaggio di Marco Milanesio, le comparsate di Julia Kent in una traccia e di Ben Chasny/Six Organs Of Admittance in un’altra). La musica realizzata dal collettivo è inseribile nel filone ambient/drone, qui proposto in diverse varianti, il che allontana l’album dal rischio di porsi come una mera curiosità e lo rende un ascolto interessante di per sé. Le atmosfere cameristiche di Elastic Chords (con il violoncello della Kent); il noise industriale che si sfalda nel baluginio insondabile di The Space; la melodia acustica di una inquieta Acqua o della classicista Melodia 75.2; il synth amniotico tra corde e rumorini di Fiery Drops; l’estatico drone della stupenda Blackholes; una Dance Of The Clouds in bilico tra elettroacustica e psichedelia folk, con tanto di suoni in reverse, intrecciarsi di corde, brulicare di rumorini in cui affondare, sono le tappe di questo percorso. Musica non certo immediata, destinata al pubblico che normalmente segue questo tipo di materiali ovviamente, che dentro vi si ritroverà. Ma anche tutti gli altri, però, non si dimentichino de L’Océan, e dovessero capitare dalle vostre parti, andate a vederli dal vivo. Ne vale sempre la pena, credetemi.

Lino Brunetti

THE SLAPS “Declaration Of Loss”

THE SLAPS
Declaration Of Loss
Dischi Soviet Studio

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Originari di Cittadella, nella provincia di Padova, The Slaps sono una band in circolazione dal 2012 quando, ancora sedicenni, affilavano i propri strumenti a suon di garage-punk. Il loro primo parto è un EP omonimo uscito nel 2014, poi il cambio del batterista e un’intensa attività live – oltre cento concerti e la partecipazione a tutti i festival della loro zona – li porta ad indurire il suono e a maturare in termini di scrittura ed esecuzione. Due cose che oggi si sentono in Declaration Of Loss, il loro esordio in lungo, uscito sul finire del 2016, il quale dimostra in pieno le indubbie capacità del quartetto formato da Paolo Simioni (voce, chitarra), Piercarlo Michielin (chitarra solista), Marco Lucietto (basso) e Sebastiano Facco (batteria). Per quanto nei primi anni ’90 i quattro non fossero neppure nati, è nella musica in voga in quegli anni che risiedono le radici del loro suono attuale, in quello di band come Smashing Pumpkins, Nirvana, Weezer, con propaggini nel power pop di una band come i Nada Surf più chitarristici o di gruppi guitar oriented più attuali come i Cloud Nothing. Nonostante non si possano proprio definire originali – come del resto il 99% delle cose che vengono pubblicate – le canzoni dei The Slaps hanno comunque il pregio di colpire fin dal primo ascolto attraverso un sound davvero potente; un’esecuzione perfetta, fresca, del tutto professionale; soprattutto attraverso una scrittura per nulla di seconda schiera, ma anzi brillante melodicamente e assai scafata nel giostrare arrangiamenti e suoni nel modo più efficace. Ottima anche la registrazione, visto il modo in cui valorizza la grana e i toni di chitarre sfavillanti, così come l’impatto di una sezione ritmica precisa ed arrembante. E in questo modo che hanno modo di rifulgere canzoni come You Are Nothing, messa in apertura e dalle sonorità rugginose; Surf 1975, melodica, distorta e con qualche spigolo chitarristico; la bellissima Waves, divisa tra parti a tamburo battente e il chorus aperto in sognante psichedelia grunge; la power ballad No Place To Go; l’hardcore melodico di Run; la malinconia affogata tra lamine di distorsione di My Lack Of Will. In I’m To Blame si affidano solo alle voci (leggermente out of tune, in modo d’aggiungere un pizzico di feeling sgangherato) e ad una chitarra acustica, con giusto qualche inserto elettrico sul finale, mentre dimostrano il loro essere tutt’altro che sprovveduti in un’esaltante The Sand, pezzo pumpkinsiano che quando sembra stia sfumando muta in una seconda parte disperata e sepolta dalle chitarre. Chiude il tutto Get A Chance, siglando una mezz’ora di musica – azzeccata anche la scelta di non esagerare con la durata – che gli appassionati di queste sonorità non dovrebbero proprio perdersi. Da tenere d’occhio insomma!

Lino Brunetti

FLORIO’S “Isolamento Momentaneo”

FLORIO’S
Isolamento Momentaneo
Autoprodotto

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Insieme da oltre un lustro i Florio’s abbandonano lo status di cover band (pur particolare avendo rivisitato la musica italiana degli anni 60 e 70) e si gettano a capofitto nella nuova esperienza fatta di brani originali, cantati in italiano e di un suono che raccoglie l’insegnamento dell’alternative rock americano a cavallo degli anni duemila. La band è composta da Marco Nardone chitarrista, Davide Pascarella bassista e Riccardo Bianchi batterista. Di sicuro spicca la voce di Valeria Maria Pucci, cantante e autrice dei testi: forse in alcuni passaggi fin troppo autoindulgente e fuori fuoco, ma con indubbie capacità vocali. Le canzoni sono solo sette e l’album non arriva alla mezz’ora, veloce come un soffio di polvere nel vento. Lasciare Il Vuoto Dentro ha un’andamento drammatico ed un ritornello accattivante, Dove ha un incipit quasi stoner rock, ma poi si sviluppa sui dettami tipici del grunge più adrenalinico. Molto poi è dovuto alla strada tracciata da gruppi quali Afterhours (sentire Final Exit per crederci). Il disco si sviluppa su una produzione non scintillante, un suono scuro e un po’ imbastito che però alla fine si sposa bene con le trame malinconiche che a volte prendono il sopravvento (Nel Tuo Inferno). Io preferisco le dissonanze elettriche di Ho Sbagliato Tutto o la notevole cover di In Cerca di Te. Chiudono con la drammatica title track che è un po’ il compendio di tutte le loro influenze. Ancora acerbi e non sempre a proprio agio, ma dalle potenzialità interessanti.

Daniele Ghiro

CRIMINAL PARTY “La Revolution Bourgeoise”

CRIMINAL PARTY
La Revolution Bourgeoise
Downbeat & Pink House

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Il primo nucleo dei Criminal Party risale addirittura alla prima metà degli anni ottanta, fondati dal chitarrista e autore Fabio Vinciguerra hanno visto alterne fortune (cioè zero visibilità, oh, siamo in Italia) nel corso degli anni e ben due scioglimenti/ricostituzioni. L’ultima nel 2012 ha dato alla luce l’EP Votate Me, ma ora con una formazione rinnovata (oltre al già citato Fabio ne fanno parte Francesco Amato alle tastiere, Mimmo Garofalo al basso e Eduardo Palladino alla batteria) e rinvigorita dall’innesto di due vocalist (Lisjac e Vicky Jam) danno alle stampe un album che segna il ritorno a tutti gli effetti della band palermitana. Ed è un piacere constatare che il ritmo non ha perso incisività col trascorrere del tempo, anzi acquista una valenza storica che gruppi come loro possono giustamente vantare, una sorta di precursori di quel garage punk adrenalinico, retrò quanto volete ma indubbiamente sempre godibile e che è sempre gustoso ascoltare. Inoltre la componente spigolosa è qui maggiormente accentuata rispetto alle precedenti uscite, fanno capolino qua e là gli Avengers, a volta si intravedono i Nuns e dal garage al punk il tratto è breve. Completamente cantato in inglese (per inciso: ben cantato) il CD sfodera ben 18 brani che si muovono sulle coordinate sopra descritte e tra i quali spiccano la potente What About You, le tirate Angry And Tired, We Hate You e Burned Generations, la fumosa Assalt At The Central Bank, la marziale Crime After Crime e sconfinando anche in territory rockabilly con Politics In Love.

Daniele Ghiro

ULI JON ROTH “Tokyo Tapes Revisited, Live in Japan”

ULI JON ROTH
Tokyo Tapes RevisitedLive In Japan
UDR 2CD+DVD

uli
Si, lo so che molti di voi storceranno il naso al solo sentire pronunciare la parola Scorpions (chi? quelli di Winds Of Change? Bene o male ti rispondono tutti così) ma non faccio nessuna fatica ad ammettere che io gli Scorpions li ho ascoltati, visti e vissuti nella mia adolescenza, fino a quando negli anni ottanta sono andati musicalmente perdendosi nello show business. In molti strabuzzano gli occhi quando dico loro che Rudolf Schenker li fondò nel 1965 e nel 1969 si aggiunsero il fratello Michael e il cantante Klaus Meine debuttando con Lonesome Crow nel 1972. A quel punto in formazione entrò Ulrich Roth e la band con lui pubblicò quattro dischi (Fly To The Rainbow, In Trance, Virgin Killer e Taken By Force) fino al tour giapponese che produsse il doppio live Tokyo Tapes ma che segnò l’abbandono di Roth e la susseguente formazione del suo gruppo, gli Electric Sun. Grandissimo chitarrista, debitore tanto a Ritchie Blackmore quanto a Jimi Hendrix, con il suo gruppo non ha mai realmente sfondato ma ha sempre avuto un discreto seguito soprattutto nel paese del sol levante. Proseguendo la sua attività come solista ha deciso solo negli ultimi anni di riavvicinarsi alla musica degli Scorpions e di omaggiarla riprendendo quel glorioso live album (che ho ed è completamente consumato) e rivisitarlo con un tour celebrativo. La location è la stessa di Tokyo Tapes vale a dire la Nacano Sun Plaza Hall. Oltre alla sua, sul palco ci sono altre due chitarre (Niclas Turmann, David Klosinski), il basso di Ule W. Ritgen, le tastiere di Corvin Bahn, la batteria di Jamie Little e la voce di Nathan James. La scaletta è simile all’originale ma non uguale, con alcune esclusioni importanti (Steamrock Fever, He’s A Woman, She’s A Man) ma anche alcuni succosi inserti (Longin For Fire) e soprattutto una spettacolare versione della stupenda The Sails Of Charon. Il pubblico giapponese è calmo ed educato, il concerto fa fatica ad incendiarsi anche se il gruppo gira a mille e Roth ha quel piglio da signore d’altri tempi, timido e delicato nelle parole quanto veemente nel torturare la sua chitarra. Non posso non provare ancora emozione nel risentire brani quali We’ll Burn The Sky e Fly To The Raimbow riletti con precisione e feeling, nell’ascoltare la dolce pesantezza di un brano quale Pictured Life, nel rivedere Uli alle prese con quelle canzoni che fecero la storia della band. Ma negli encore non può esimersi di omaggiare il suo idolo ed ecco allora una caldissima versione di All Along The Watchtower e un’altra altrettanto sentita di Little Wing: sono sicuro che Jimi approverebbe!

Daniele Ghiro