IL VUOTO ELETTRICO
Traum
Dreamingorilla Rec./I Dischi del Minollo/La Stalla Domestica
Distribuzione Audioglobe
Sarebbe facile, e in effetti lo è, associare la musica de Il Vuoto Elettrico alla scuola italiana indipendente e rumorosa, i nomi sono sempre gli stessi e non li faccio perché ci vuole (poca) immaginazione, ma sarebbe altresì riduttivo perché la lezione dei CSI (eccone uno, di nome) qui viene attualizzata e sporcata, trascinata a forza verso lidi diversi che attraversano l’oceano e magicamente vanno ad accomodarsi la dove un gruppo come i Fugazi (ad esempio) ha lasciato soltanto macerie. In Door mette subito sul piatto dissonanza associata a carica nervosa, urticante ed instabile, voce sofferta tanto quanto le chitarre di Davide Armanini e Mauro Mazzola che aumentano progressivamente di volume. Corridoio 41 è tesa e cupa, la voce di Paolo Topa è una sorta di recitazione insistente e inesorabile: sarà così per il resto del disco. Camera Di Specchi è costruita su un tappeto ritmico incalzante (al basso Giuseppe Ventagliò, alla batteria Walter Viola che al termine delle registrazioni ha lasciato il posto a Luciano Finazzi) sul quale si innestano chitarre a cascata che ancora ricreano quella tesa drammacità che pervade l’intero lavoro. Parte da un testo tremendo e non banale la storia di Lame In Soffitta, ed è la loro versione più pop, ma la definizione va presa con le dovute cautele, il loro modo di fare musica è da prendere o lasciare, nessuna via di mezzo, nessun compromesso. Il fatto è che poi, quando decidono di mettersi di traverso ci riescono alla perfezione, imboccando quei binari morti di treni in demolizione che portano la dove quell’hardcore di scuola Dischord ha costruito le proprie stazioni: Un Bagno Di Vita e Sotto Il Tavolo In Cucina sono delizie per le mie orecchie. Il claustrofobico testo de Il Giardino Dei Segreti viene egregiamente accompagnato da un’altrettanto opprimente accompagnamento musicale. Pitone è la violenza dei vent’anni e del rifiuto della società, è quella voglia di voler cambiare tutto, prima che la vita cambi noi stessi, incalzante e senza via d’uscita. Cosa che viene ribadita dalla conclusiva Out Door, nessuna empatia, poche speranze, niente lieto fine, fondamentalmente è giusto così.
Daniele Ghiro