Micah P. Hinson
Studio Foce
Lugano
28 ottobre 2017
“Una Storia Americana”, si sarebbe potuta intitolare la serata che ha visto Micah P. Hinson esibirsi sul palco dello Studio Foce di Lugano, visto che il concerto ha messo in scena attraverso parole e canzoni i contenuti epici, tragici e romantici dell’ultimo album di studio del cantautore texano The Holy Strangers, un concept album costruito intorno ad una saga familiare, che potrebbe perfino evocare le pagine di un romanzo come Il Figlio di Phillip Meyer. In verità di storie se ne è potute ascoltare più d’una, perchè in apertura gli svizzeri The Lonesome Southern Comfort Company hanno messo in musica le loro personalissime visioni di un’America desertica e periferica, magari meno vissute e “vere” di quelle di Hinson, ma senza dubbio altrettanto autentiche ed affascinanti: ballate scenografiche e dolenti tracciate nella polvere dei sogni, della fantasia e dell’immaginazione dalle vibrazioni di un paio di chitarre acustiche ed elettriche, dal malinconico fraseggio di un violino e dai soffici rintocchi di una batteria. Un’ottimo preludio all’immaginario evocato dalla performance acustica di Micah Paul Hinson, personaggio bizzarro a partire da un’aspetto hip che lo fa sembrare un Buddy Holly reincarnatosi nei panni di uno skater, che per un’ora e mezza ha raccontato e si è raccontato attraverso canzoni, che paiono tra le cose più personali e profonde che l’artista abbia mai composto. A partire dalla sua genesi, che, come spiega l’autore, in origine prevedeva un ciclo fatto da 28 brani per 3 ore di musica, successivamente ridotto alle 14 tracce che si ascoltano nel disco, The Holy Strangers è probabilmente il lavoro di Hinson che necessità un maggior impegno e una maggiore attenzione da parte dell’ascoltatore per essere apprezzato fino in fondo: un’opera, “A Modern Folk Opera” la definisce l’autore, di carattere biblico e letterario che tratta di amori, violenze e tragedie, sviscerando la particolare weltanschauung del cantautore di Denison, Texas. Anche dal vivo per cogliere lo spessore del materiale, c’è stato bisogno del silenzio e dell’attenzione garantiti da una sala relativamente intima come quella dello studio Foce, dove le lunghe introduzioni di Hinson non sono state sommerse dalle chiacchere e hanno fatto luce sull’oscura natura della poetica delle liriche. In parte Hank Williams, in parte Johnny Cash e Woody Guthrie (quest’ultimo chiaramente evocato dalla scritta stampata sulla cassa della chitarra “This Machine Kills Fascists”), Micah P. Hinson ha cantato e suonato diverse canzoni di The Holy Strangers tra cui Oh, Spaceman e Micah Book One, recuperato qualche vecchio pezzo con una qualche attinenza tematica col nuovo materiale come Take Off That Dress For Me o reinterpretato antichi traditionals come Leaning On The Everlasting Arms, senza abbandonarsi alle etiliche stramberie che avevano pregiudicato alcune sue passate esibizioni, ma rimanendo concentrato sulle storie con l’attitudine narrativa dello storyteller. Pur combattendo contro i capricci di un monitor, Hinson ha saputo mantenere viva l’attenzione del pubblico per l’intero concerto, modulando spesso gli effetti della sua chitarra acustica e cantando in modo appassionato ed emozionate di un’America in bianco e nero, in cui il fatidico sogno rimane una fatua illusione. Considerando l’arduo compito imposto dall’esecuzione in solitaria di un’opera complessa come The Holy Strangers, in generale il concerto ha suscitato un discreto entusiasmo e confermato l’estro di Micah P. Hinson, un’artista mai banale o minimamente prevedibile.
Luca Salmini
Tutte le foto © Lino Brunetti