KORTO “Korto”

KORTO
Korto
Six Tonnes De Chair

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Clément Baltassat (voce e basso), Marius Mermet (chitarra) e Léo Moriaud (batteria) provengono dall’Alta Savoia, in Francia e si fanno chiamare Korto. Il loro disco d’esordio dimostra come il verbo psichedelico sia ormai diffussimo in ogni dove e quanto il genere sia ormai in grado di offire un ventaglio di uscite di ottimo livello a getto continuo. Quello che fanno i tre non è particolarmente originale, ma è innegabile che le loro composizioni siano comunque un ascolto esaltante per qualsiasi appassionato del genere. Intanto il livello tecnico dei tre è decisamente alto – soprattutto il batterista, il quale picchia duro, ma espone anche una certa raffinatezza e fantasia – e poi è generalmente molto buona la qualità generale delle tracce. Come il titolo suggerisce, Hot Rock incalza, ma è pure caratterizzata da delle aperture space e sognanti; Track 2 prende chiaramente ispirazione dai maestri Spacemen 3; sia Denzzzl che Fresque si profilano come cavalcate kraut-psichedeliche, martellanti sotto il profilo ritmico, soprattutto la seconda che dimostra tutto il valore di Moriaud; A 40 è nuovamente molto fisica e rock, laddove Dollonde vive del contrasto tra la potenza musicale e la melodia invece onirica e lisergica. In chiusura, mette a segno un altro centro pieno, con i suoi toni liquidi e cangianti sul solito motorik ritmico che non lascia mai la presa. Bravi!

Lino Brunetti

QTY “Qty”

QTY
QTY
Dirty Hit

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Chissà se i QTY potranno avere, con questo loro omonimo esordio, la stessa eco che ebbero con il loro primo disco gli Strokes (sarà molto difficile), formazione a cui, tutto sommato, potrebbero essere facilmente accostati. Si, perché anche le dieci canzoni che ci fanno conoscere questo duo formato da Dan Lardner e Alex Niemetz trasudano New York da tutti i pori. New York, dunque. La più classica e icastica, quella dei Television e di Lou Reed, quella del CBGBs immortalata dalla compilation sulla Ork Records, quella che non può non venire in mente guardando le foto in bianco e nero che li ritraggono. La loro sensibilità è senz’altro più pop, meno rude e selvaggia, eppure con un po’ di fantasia, ascoltando pezzi come Rodeo, Dress/Undress o Michael, opportunamente messe in apertura, un tuffo tra i vicoli della Grande Mela seventies pare in effetti di farlo. Cold Nights mette in campo un sentire melodico forse più contemporaneo e il resto della scaletta ripete un po’ sempre lo stesso stilema compositivo, girovagando attorno a pezzi strokesiani (appunto) come Word For This o Living Things, ballate come New Beginnings o pezzi ariosi e tintinnanti come Notify Me, Sad Poetic e Salvation. Gli ascoltatori più scafati potrebbero snobbarli, anche perché in effetti non si va molto oltre un certo calligrafismo, ma la verità è che, a volersi accontentare, il disco è piacevole e i ragazzi hanno tutto il tempo per provare a trovare una strada più personale. Produzione affidata alle mani di Bernard Butler dei Suede.

Lino Brunetti

HATER “Red Blinders”

HATER
Red Blinders
Fire

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Hanno esordito in lungo, giusto ad inizio anno, con un disco, You Tried, pubblicato dalla piccolissima PNKSLM Recordings. Ora provano a farsi conoscere al di fuori della loro natia Svezia, approdando sulla ben più strutturata Fire Records, per la quale hanno preparato questo Red Blinders, EP di quattro brani per una quindicina circa di minuti. La musica del quartetto guidato dalla cantante Caroline Landhahl è piuttosto facilmente inseribile nel filone dream pop. Proprio a quelle sonorità fa pensare la Blushing messa in apertura, con la sua soave melodia sognante, il tintinnare delle chitarre, l’ipnotico srotolarsi di basso e batteria; se il tutto fosse un pizzico più saturo, saremmo ad un passo anche dallo shoegaze. La successiva Rest se la gioca attraverso una melodia frizzante e solare, ineffabilmente pop, mentre il pezzo che dà il titolo all’EP tira in ballo un sentire maggiormente wave e fa venire in mente la musica di una band contemporanea quale gli Alvvays. In chiusura, Penthouse si fa più serrata ed incalzante, senza comunque perdere quel sottile e limpido tono onirico e agrodolce che caratterizza un po’ tutta la musica del quartetto. Per i fan del genere, un assaggio veloce per fare la conoscenza di questa nuova band.

Lino Brunetti

JOZEF VAN WISSEM “Nobody Living Can Ever Make Me Turn Back”

JOZEF VAN WISSEM
Nobody Living Can Ever Make Me Turn Back
Consouling Sounds

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Nonostante la sua sia una discografia tutt’altro che scarna, è probabile che abbiate sentito nominare Jozef Van Wissem per via della sua appartenenza alla band di Jim Jarmusch – ha anche curato la colonna sonora del suo “Only Lovers Left Alive” – oppure per via delle sue collaborazioni con artisti come Zola Jesus, Gary Lucas o United Bible Studies, tra gli altri. Compositore minimalista d’origini olandesi, ma da tempo residente a Brooklyn, Van Wissem è soprattutto un suonatore e costruttore di liuti. Anche nel nuovo Nobody Living Can Ever Make Me Turn Back è lo strumento a corda il supremo protagonista di composizioni appena sfiorate da qualche piccola e discretissima interferenza elettronica e da un battere ritmico altrettanto minimo. Le sue sono partiture musicali quasi sempre in forma di strumentali, appena scalfite da una voce che pure quando c’è rimane quasi sempre lontana, come proveniente da un Altrove ultraterreno. È infatti la morte il tema principe di quest’opera, a partire dalla bellissima e conturbante natura morta messa in copertina, dipinta dalla pittrice Cindy Wright, una chiara influenza. Forse, però, prima ancora che alla morte, è a quel sottile velo che la separa della vita che questi pezzi guardano. Tolta la lugubre e sospesa Virium Illarium (con un canto quasi gregoriano realmente mortifero) e la dolente,  circolare, rarefatta ed evocativa Our Bones Lie Scattered Before The Pit (precisa nel delineare uno scenario di desolazione, l’ultimo alito vitale ormai precipitato in un nero oblio), il resto delle composizioni hanno un tono quasi luminoso, palesandosi attraverso arpeggi brillanti e dall’arcaico sapore folk, folk soltanto in parte ascrivibile all’universo apocalittico (in una The Conversation scura  e venata di tristezza), spesso invece permeato da una sorta di sereno fatalismo, musicalmente non troppo lontano da certe pagine del post-rock più raccolto e misterico (in fondo certi Gastr Del Sol non sono così lontani). Questo sua passeggiare a braccetto con la Nera Signora dà modo a noi ascoltatori di farci accarezzare, in fondo dolcemente, da una musica venata di un romanticismo profondo e piacevole, anche se lugubre.

Proprio in questi giorni, Jozef Van Wissem è in tour in Italia per ben sette date, due a Milano, la prima delle quali assieme a Ludovico Einaudi. Ecco qui sotto i luoghi dove sarà possibile goderselo in concerto:

23619239_1871712896201714_796789564_n5/12 Recanati (MC) – Circolo Dong
6/12 Roma – Lanificio 159
7/12 Perugia – Bar Chupito
8/12 Latina – Sottoscala 9
9/12 Schio (VI) – CsC
11/12 Bolzano – Chiesa Domenicana
12/12 Milano  -Teatro dal Verme (in duo con Ludovico Einaudi)

13/12 Milano – Teatro dal Verme 

Lino Brunetti