MARIEE SIOUX
Grief In Exile
Night Bloom Records
Le note ci dicono che Mariee Sioux è cresciuta in una cittadina mineraria della California del Nord, con un padre suonatore di mandolino d’origini polacco ungheresi e una madre con sangue paiute, spagnolo e indie messicano. Non ha neppure vent’anni quando si autoproduce i primi due album, lavori che le permettono di farsi conoscere in giro e di pubblicare in seguito un altro paio di dischi su etichette più strutturate, cosa che le apre le porte a tour internazionali e pure a una collaborazione discografica con Bonnie Prince Billy (il doppio 7” Bonnie & Mariee). Il padre era un frequentatore di festival Bluegrass ed è quindi naturale che fin da piccola Mariee abbia sviluppato una naturale predisposizione alla musica, quella folk in particolare. Non di folk classico al 100% si tratta però, perché le sue sono canzoni dotate di un carattere sottilmente stregato, sognante, con un filo di psichedelia ad attraversarle latentemente. Per certi versi potrebbe ricordare l’approccio alla materia di una come Marissa Nadler, alla quale l’accomuna anche una voce eterea e tendente all’acuto. Il nuovo Grief In Exile non manca di mettere in mostra queste caratteristiche attraverso dieci canzoni sostanzialmente acustiche, dotate di fascinose melodie e un pizzico di conturbante ancestralità, evidente ad esempio in pezzi come l’allucinatoria Black Snakes o la trance misterica di Never Known. In qualche episodio il folk s’appaia ad un sostanziale gusto pop (Baby Wave, arricchita poi da un fiddle; la pimpante Coyote With The Flowering Heart), altre volte la voce si mescola al fantastico intrecciarsi di diversi strumenti a corda (la bella Goose Song, le ariose e svolazzanti Grief In Exile e Behind The Veil), altre ancora scivolano in un classicismo quasi senza tempo (il valzer fatato Snow Knows White, Love Like Water, My Birds), evocando con pochi tratti un mondo immaginifico che vale la pena scoprire e frequentare.
Lino Brunetti