Iosonouncane live a Milano, 23/4/2022

Un trip. La discesa in una trance percussivo-tribale dagli accenti misticheggianti. Lo sprofondare in un oceano di suoni i cui confini venivano a perdersi in dilatazioni psichedeliche e mantriche. È con definizioni del genere che si può provare a descrivere a parole un’esperienza live che più che mai necessitava di essere vissuta sulla propria pelle dal vivo, appunto. Sto parlando del concerto di Iosonouncane tenutosi all’Auditorium Cariplo di Milano il 23 aprile 2022, ultima tappa del più volte rinviato tour in cui l’intero IRA sarebbe stato suonato per intero, in sequenza, dalla prima all’ultima traccia.

Non è un mistero quanto io abbia apprezzato IRA, proprio su questo blog eletto miglior album del 2021. Miglior album non solo italiano, sia chiaro, proprio miglior album in assoluto, nel caso qualcuno dovesse avere dei dubbi. Serata imperdibile dunque, nonostante un sold out risalente a due anni addietro che, fino all’ultimo, mi ha fatto temere di non poter presenziare.* L’estate scorsa ovviamente non avevo mancato i concerti tenuti come trio devoto a strumentazione elettronica, performance che mi erano piaciute moltissimo in quanto revisione attraverso magmatici flussi di suono potentissimo e visionario del suo repertorio.

Stavolta però c’era la chance di vedere portata sul palco l’opera intera, un disco che fin da subito m’era parso come un unicum più che come una raccolta di brani, un disco a cui abbandonarsi nella sua interezza e da fruire come un viaggio, un trip appunto, da non parcellizzare in ascolti estemporanei, distratti, tronchi.

Portato sul palco da una formazione di sette elementi – ovviamente Jacopo Incani e poi Francesco Bolognini, Serena Locci, Simona Norato e Amedeo Perri (tastiere varie, electronics, qualche sporadica chitarra) più Simone Cavina e Mariagiulia Degli Amori (batteria e percussioni) – IRA è esploso in tutta la sua potenza immaginifica, portando gli ascoltatori per quasi due ore letteralmente altrove. Grazie anche al suono splendido dell’Auditorium – dove normalmente è di casa l’Orchestra Sinfonica e il Coro di Milano Giuseppe Verdi – i pezzi del disco hanno riverberato tutta la magia che ormai conoscevamo, dando forse un po’ di spazio in più alla componente strettamente ritmica, ma comunque ripercorrendo abbastanza fedelmente il disco nella sua interezza.

E qui una considerazione appare ovviamente obbligatoria: a furia di rinvii a causa del covid, questi concerti che avrebbero dovuto essere eseguiti prima dell’uscita del disco, hanno finito per essere suonati dopo, diventando quindi qualcosa di diverso rispetto a quello che dovevano essere. Se già così è stata espressa una potenza immaginifica notevole (e si sapeva a cosa si sarebbe andati incontro), cosa sarebbe successo alle sinapsi del pubblico se si fossero trovati di fronte impreparati, ma anzi con ancora pezzi pop come Stormi nelle orecchie, di fronte a un tale inscalfibile monolite sonoro? La risposta la possiamo solo immaginare, ormai, ma è chiaro che il progetto originario di Incani era nel complesso ancora più radicale di quanto poi non sia riuscito a fare.

È andata così, e in fondo non ce ne possiamo lamentare, dato che ci siamo goduti i bellissimi concerti come trio, la bellissima performance integrale di IRA, mentre in primavera/estate questa formazione a sette sarà in giro per un altra serie di concerti in cui verranno suonate delle canzoni tratte da un po’ tutti e tre gli album pubblicati finora da Iosonouncane, per un’ancora diversa esperienza live che, fin d’ora, non è un azzardo definire nuovamente irrinunciabile.

*Grazie Leo!

Lino Brunetti

DANIEL ROSSEN “You Belong There”

DANIEL ROSSEN
YOU BELONG THERE
WARP

Con l’abbandono di Ed Droste, fuoriuscito dalla band per diventare un terapista, chissà se i Grizzly Bear andranno comunque avanti, dato che il musicista era uno dei due leader e songwriter della formazione. Scioglimenti non ne sono stati annunciati, ma con la band ferma dai tempi di Painted Ruins del 2017, qualche dubbio è lecito porserlo, tanto più che in questi giorni, l’altro frontman della formazione di Brooklyn, Daniel Rossen, si presenta nei negozi con il suo debutto da solista in lungo (c’era già stato un EP, risalente però a dieci anni fa).

Abbandonata da tempo l’originaria Brooklyn, ora Rossen vive a Santa Fe e, proprio nella sua casa nel bel mezzo del deserto del New Mexico, ha messo a punto, si può dire in solitaria, dato che solo in Tangle appare il compagno di band Chris Bear come ospite, le dieci canzoni di You Belong There. Disco tutt’altro che semplice e immediato che, nel suo riflettere sull’irrompere della maturità dopo gli anni selvaggi della giovinezza, anche dal punto di vista musicale mette in campo tutta l’esperienza e maturità, appunto, acquisita nel tempo dal suo autore.

Due cose colpiscono principalmente fin dal primo ascolto. Uno: la bravura di Rossen nel giostrare intricati e caleidoscopici arrangiamenti, tra l’altro eseguiti suonando praticamente tutti gli strumenti, ovvero chitarre, contrabbasso, violoncello, batteria e fiati vari. Due: il talento nel tratteggiare melodie e armonie vocali che non smarriscono un’anima pop, ma che in ben più complessi scenari s’adagiano.

Apre mettendo già in chiaro questi elementi la bella It’s A Passage, psych folk progressivo che scivola nella successiva Shadow In A Frame, non a caso scelta come primo singolo per via di una bella melodia sottolineata da una chitarra acustica, dagli archi, dal rullare di una sezione ritmica d’impronta jazz. La corale su un montare ritmico impro della titletrack forse avrebbe potuto essere sviluppata maggiormente, ma non c’è davvero il tempo per dispiacersene viste le volte intarsiate e pulsanti che abbelliscono una Unpeopled Space di gusto prog folk. E se Celia pare un minuetto medievaleggiante e Tangle un’avant folk che avrebbe potuto essere interpretato anche dal tardo Scott Walker, è a I’ll Wait For Your Visit che spetta il compito d’incarnare il capolavoro del disco, attraverso il suo incrociarsi di frasi melodiche, le sue pause e le sue ripartenze, l’affastellarsi di suono e ritmo.

Ancora ad alti livelli il terzetto che chiude il tutto, a partire da una Keeper And Kin che vi farà pensare alle cose avant folk degli Animal Collective, intrise però di fatalistica malinconia, passando per una radiohediana The Last One, per poi chiudere con grazia con Repeat The Pattern.

Come dicevamo, non sempre facile e immediato, You Belong There ripaga quel minimo di sforzo per penetrarlo con una musica di rara pregnanza e spessore. Soprattutto, non esaurisce il suo fascino in un battito di ciglia.

Lino Brunetti