MS/ELVINA PINTO “The Well”

MS/ELVINA PINTO
The Well
Black Vagina

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MS è il cantautore umbro Matteo Santarelli (voce, chitarra classica, chitarra elettrica, lap steel, flauto). Al suo fianco Elvina Pinto, originaria del Qatar, a voce e autoharp. Con loro alcuni ospiti: Dan Kinzelman (flauto e clarinetto), Joe Rehmer (basso), Federico Gilli (accordion), Espada (backing vocals). Tutti assieme hanno approntato, tra l’Umbria e Berlino, un disco intimo, piccolo magari (a partire dalla durata di neppure venti minuti), ma che probabilmente appassionerà quanti vorranno accostarvisi. In The Well ci sono solo sei tracce, di cui due cover e un traditional, e, nonostante la presenza importante degli ospiti citati, pare davvero un dialogo a due fra gli intestatari del progetto. Album incredibilmente intimo, minimale e rarefatto, a partire dal country noir notturno con cui si apre, Six Years Ago, dove i due duettano (lui con baritono a là Johnny Cash) tra languidi tocchi di lap steel. Nel proseguio fanno capolino la classicissima e malinconicamente balcanica Ochi Chyornye (cantata da Elvina, ovviamente in russo); una bossa nova che pare uscita dal repertorio di Sergio Endrigo quale Non Ho Più Voglia, per poi scivolare tra le maglie folk di The Bluebird, quelle nuovamente westernate di The Well ed infine in un altro affondo cantautorale in italiano, dalle sfumature poeticamente jazzate, come la bella Trasloco. Persino la mancanza di un’univoca direzione risulta intrigante. Un piccolo gioiellino sonoro.

Lino Brunetti

STEFANO BAROTTI “Pensieri Verticali”

STEFANO BAROTTI

Pensieri Verticali

Orange Home Records

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STEFANO BAROTTI è un cantautore toscano. Tra il 2003 ed il 2007 aveva pubblicato un paio di album per Club De Musique e forse qualcuno di voi se ne ricorderà. A dare un seguito al precedente Gli Ospiti ci ha messo insomma oltre sette anni, un lungo periodo di tempo che gli hanno permesso una lenta maturazione e che lo hanno visto infine accasarsi presso la Orange Home di Raffaele Abbate, qui nelle vesti, oltre che di discografico, pure di (validissimo) produttore e musicista in qualche brano. Quella di Barotti è una scrittura sostanzialmente classica, da cantautore tradizionale, indicamente sulla scia di un De Gregori, se proprio volessimo citarne uno. Con quest’ultimo ha in comune la capacità di costruire melodie lineari e gentili, nonché il cuore rivolto verso l’America folk, country, blues e rock (anche se non mancano pezzi il cui intimismo potrebbe rimandare a Nick Drake, presumibilmente molto amato, visto che, oltre che essere citato nei ringraziamenti, viene omaggiato dal breve strumentale A Cena Con Drake). Non lasciatevi ingannare comunque: Barotti di personalità ne ha da vendere, in primis nella scrittura di testi sempre bellissimi, divisi tra piccoli racconti e confessioni che, di volta in volta, sanno essere pervasi d’ironia (Blues Del Cuoco, Giudizio Non Ho), incantata poesia (La Ragazza, Rose Di Ottobre), sentito romanticismo (Ogni Cento Parole), persino una certo slancio visionario (L’Arcobaleno Rubato, Cuore Danzante). Poi c’è l’aspetto musicale, e qui entrano in campo sia la citata produzione di Abbate, che la partecipazione di musicisti quali Jono Manson, Paolo Bonfanti, Max De Bernardi, John Egenes, Vittorio Alinari, Henry Carpaneto (giusto per citarne qualcuno, fra i tanti), che alle chitarre acustiche ed alla voce di Barotti aggiungono basso, batteria, pedal steel, flauto, organo Hammond, archi, mandolino, piano, clarinetto, chitarre elettriche, slide e resofoniche, in modo da rendere sempre interessanti e personali, anche da un punto di vista strettamente musicale, le varie canzoni. È un disco bello e profondo Pensieri Verticali, uscito ad inizio anno e di cui arrivo a scriverne solo ora, per via dell’enorme mole di dischi che perennemente campeggia sui miei scaffali. Un recupero, si sarà capito, assolutamente necessario.

Lino Brunetti

EMMANUELLE SIGAL “Songs From The Underground”

EMMANUELLE SIGAL

Songs From The Underground

Brutture Moderne/Audioglobe-The Orchard

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Ha girovagato per mezzo mondo EMMANUELLE SIGAL: nata in Israele da genitori francesi, vi ha vissuto per 13 anni, prima di intraprendere una serie di spostamenti che l’hanno portata prima a Parigi con la madre e poi a risiedere, nell’ordine, a Bolzano, Berlino e Venezia. Il suo ultimo approdo – temporaneo? – dove vive tutt’ora, è Bologna. Proprio lì vicino, a Lido di Dante in provincia di Ravenna, nello studio Al Mare, ha realizzato Songs From The Underground, il suo disco d’esordio, dopo che in passato aveva avuto una prima esperienza con un’ensemble gypsy-jazz di Bolzano e aveva partecipato all’ultimo disco dei Sacri Cuori, Delone, nel quale figurava quale cantante ed autrice delle parole di Seuls Ensemble. Proprio i Sacri Cuori – Antonio Gramentieri (chitarra elettrica, basso VI), Francesco Giampaoli (basso, piano elettrico, percussioni), Diego Sapignoli (batteria e percussioni) – insieme a Marco Bovi (chitarra acustica, banjo, mandolino), appaiono come musicisti ed arrangiatori (Gramentieri e Giampaoli anche come produttori) delle 10 belle canzoni scritte da Emmanuelle per questo disco. Ispirati dal romanzo di Dostoevskij “Memorie dal sottosuolo”, questi brani mescolano esperienze personali, storie d’amore e di vita, considerazioni sul come portare avanti la propria esistenza. Nella bellissima Deep Cold Sea, Emmanuelle canta parole che ben sintetizzano il modo in cui guarda alla vita: “Desperation makes us grow/And time will tell us what we need/But till that moment we should live/Without any chains around our feet”. Musicalmente, la sua canzone d’autore si tinge d’influenze passate, in cui appaiono colorature swing, blues, folk. Il bel collage posto in copertina – sempre opera della Sigal stessa – ben illustra i contenuti dell’album, il suo far confluire la memoria nel presente. Il piglio old time e blues con cui il disco si apre (Blues Train), si stempera nei bellissimi ed avvolgenti arrangiamenti di Happiness prima, e tra le spire malinconiche, in cui serpeggia la splendida chitarra di Gramentieri, di Song From The Underground poi. Alcuni pezzi swingano da matti (la divertente e indiavolata Si Le Monde, una One For My Heart Four For His Rum quasi waitsiana, And I’m Dreaming); altri rallentano in forma di ballata (la citata Deep Cold Sea, una All I Ever Wanted a ritmo di cumbia, l’ondivaga My Ass Between Two Chairs, in cui ci s’immagina un dialogo con Charles Bukowski); la stupenda Refugee, messa in chiusura, ha le forme di un blues dalle sfumature klezmer. In tutti i casi, rifulge la scrittura e l’abilità interpretativa della Sigal, graziata inoltre dalla consueta abilità dei Sacri Cuori (e di Bovi ovviamente) nell’arrangiare i pezzi sempre nel migliore e più fantasioso dei modi. In definitiva, davvero un bell’esordio!

Lino Brunetti

Qui di seguito, in esclusiva per Backstreets Of Buscadero, lo streaming dell’album:

ALBUM STREAMING: ROBERTO SCIPPA “Canzoni d’Emergenza”

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Canzoni d’Emergenza (Astral Records/Master Music) è il secondo lavoro ufficiale del cantautore romano ROBERTO SCIPPA. Undici brani nati negli ultimi tre anni dal vissuto e dalle fantasie poetiche del loro autore. Tutti i brani sono legati in modo sottile da quel filo comune che è la condizione dell’“emergenza”. Un’estetica testuale densa di simbolismi contraddistingue tutte le canzoni, accompagnate da affreschi musicali caratterizzati da intrecci di chitarre elettriche e acustiche, armonizzazioni vocali e inserti di tastiere e synth, e costruiti su solide e potenti basi ritmiche. Prodotto da Matteo Portelli e Roberto Scippa, il disco è stato registrato da Matteo Portelli al The White Lodge Studio (Roma), missato da Matteo Portelli e Giacomo Fiorenza (42 Records).

ALBUM STREAMING: MIMÌ STERRANTINO “Un Lupo Sul Divano”

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Un lupo sul divano  è il titolo dell’ultimo lavoro discografico di Mimì Sterrantino datato 2015. Comprende dieci brani, registrati sempre insieme agli Accusati, che ripercorrono le vie sonore nord americane degli anni settanta. Blues, country, folk e rock si fondono insieme ai testi del cantautore siciliano che non abbandona la sua vena ironica, le lodi a madre natura, lo spirito rivoluzionario, la fantasia e la classica autoreferenzialità cantautorale con cui parla di se stesso e delle proprie esperienze di vita.

FRANKIE MAGELLANO “Ho Poco Ma C’Ho”

FRANKIE MAGELLANO
Ho Poco Ma C’Ho
Muki Edizioni

FUSTELLA DIGIPACK VUOTA(2 ante)

Non è faccenda recente l’amore di FRANKIE MAGELLANO per il grande scrittore emiliano Pier Vittorio Tondelli. Entrambi di Correggio – dove il primo, smessi i panni del cantautore, fa il postino col nome con cui è nato, Matteo Morgotti – i due s’erano già incontrati in occasione delle “Giornate Tondelliane 2011”, dove Frankie aveva presentato la sua messa in musica di un testo del compianto scrittore, Amore Mio Fallimentare. Parte da lì un percorso che lo ha visto dapprima operare una sorta di studio e recupero dell’opera tondelliana – tra l’altro in stretta collaborazione con Fulvio Panzeri, che dei testi di Tondelli è curatore per Bompiani – per poi approdare allo spettacolo teatrale “Frankie Magellano canta Pier Vittorio Tondelli” ed infine a questo mini album tributo Ho Poco Ma C’Ho. Due letture e cinque canzoni per meno di venti minuti di durata, in cui le parole dello scrittore vengono musicate da Magellano con l’aiuto di un validissimo gruppo di musicisti: Pippo Bartolotta al piano, Paolo Gilioli alla chitarra, Andrea Moretti al basso e i due batteristi Michele Trapljiov e Maicol Morgotti. Bell’esempio di cantautorato appassionato, a cui rimane attaccato un qualcosa di teatrale, che ben riesce a riaccendere i riflettori su un autore giustamente celebratissimo in passato, ma che forse, oggi, le nuove generazioni conoscono troppo poco. Intensissima L’Uomo Di Marble Arch, che lo stesso Tondelli aveva pensato come testo di una canzone; divertente, in bilico tra sixties ed il Capossela più frizzante, Macho Man (La Canzone Dell’Uomo Sulla Spiaggia); sempre notevole Amore Mio Fallimentare, giustamente posta in apertura di scaletta; esemplificativa della grande capacità di sguardo sul mondo dello scrittore, la lettura conclusiva, tratta da “L’abbandono”. Magellano è sia un ottimo interprete, che un musicista capace di dipingere passaggi musicali di gran classe, poi resi magistralmente dai musicisti citati, in cui a rifulgere è soprattutto il pianoforte di Bartalotta. Un gran bel dischetto insomma, senza nessun dubbio meritevole d’attenzione.

Lino Brunetti

FABRIZIO TESTA “Bestiario”

FABRIZIO TESTA
Bestiario
Autoprodotto

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Con Bestiario, FABRIZIO TESTA conclude la sua trilogia di album iniziata nel 2013 con Mastice e proseguita l’anno seguente con Morire (del primo avevamo scritto qui, del secondo nel Backstreets cartaceo sul Buscadero). Una trilogia intensa, fatta d’espressionismo terso e poetico, che non dispiacerebbe veder riunita in una sola confezione, magari dalla più ampia diffusione rispetto a questi CD autoprodotti. Come il suo titolo fa intuire, Bestiario si concentra sul rapporto tra il nostro mondo e quello animale, con passaggi lirici fra l’ironico ed il disturbante, in cui viene evocato in un continuo intrecciarsi di temi e suggestioni, sempre tutt’altro che banali, sia lo sfruttamento da noi perpetrato nei confronti del mondo animale, con le bestie spesso viste solo come vera e propria carne da macello, che alcune sostanziali similitudini, non ultimo il destino comune, fra noi e loro. Il disco, aperto e chiuso dalla lettura di due poesie lette da Gianni Mimmo (La Bestia Morente di Ivano Ferrari e Io Spero Che Un Giorno di Francesco Toma), si sviluppa attraverso quattro canzoni e due interludi strumentali per sole percussioni, il primo ad opera di Ingar Zach, il secondo di Stefano Giust. L’unico pezzo cantato da Testa – autore di testi e musiche ed impegnato a piano e synth – è Bestiario, in cui la sua riconoscibilissima voce baritonale si stende sulle pennellate di violoncello di Simona Colonna. Macello si pone al confine tra blues astratto e virulenza punk, soprattutto grazie alla viscerale ed allucinata interpretazione vocale di Federico Ciappini, presente più avanti anche nella più elegiaca e drammatica narrazione avant di San Lorenzo. In tutto l’album, fortemente incentrato sulle percussioni, furoreggia dietro ai tamburi un grande Francesco Cusa che, con l’aiuto del contrabbasso di Fabio Sacconi ed il pigiare i tasti bianchi e neri di Testa, in Purosangue dà vita ad una partitura fortemente jazzata, su cui Gianmarco Busetto ha modo di srotolare la sua stranita narrazione in bilico tra declamazione didattica d’altri tempi e urlo animale non trattenuto. Un disco che ancora una volta, sia pur con il solito minutaggio ristretto, neppure venti minuti, conferma la lucidità poetica ed il talento multiforme di Fabrizio Testa. Per qualsiasi ulteriore info, questo è il sito di riferimento.

Lino Brunetti

GIÒ DESFÀA E I FIÖ DE LA SERVA ” Pécc Sota ‘L Técc”

GIÒ DESFÀA E I FIÖ DE LA SERVA

Pécc Sota ‘L Técc

Autoprodotto

Giò Desfàa

Inseriti in un filone che negli ultimi decenni ha goduto in Italia di insolita fortuna, quello degli epigoni di Davide Van De Sfroos, Giò Desfàa e i Fiö de la Serva sono una formazione varesotta che dopo anni di intensa attività ha esordito con un cd di buona fattura, prodotto e arrangiato da Davide “Billa” Brambilla (ottimo polistrumentista, per lungo tempo collaboratore non solo del citato Van De Sfroos, ma anche di Enrico Ruggeri, dei Lüf e dei ticinesi Vad Vuc). Non vorremmo che i riferimenti enunciati facessero pensare a una presenza formale e unicamente di nome: la centralità del rock d’autore del leader Giò Desfàa e dei suoi testi non è mai messa in discussione, come pure la “mano” del Brambilla si sente nella scrittura degli arrangiamenti, particolarmente complessi per un organico di nove elementi. Pécc Sota ‘L Técc è un CD d’impatto corale che si ascolta volentieri e che – nonostante la preponderanza di strumenti acustici – risulta molto avvincente all’ascolto, divertente e maturo: in particolare, la sezione di fiati che dialoga con quella tipicamente rock-acustica si dimostra di grande presa. Giò Desfàa (voce e chitarra acustica), Daniele Baldin (chitarre elettriche e mandolino), “Yuri” Matia Belli (fisarmonica), Valentina Bezzolato (flauto traverso e ottavino), Maria Luisa Grosso (violino, soprano e cori), Enzo Paolo Semeraro (tromba e cori), Marco “Pappa” Amato (saxofono e cori), Alessio Belli (basso e cori), Lorenzo Bonfanti (batteria, percussione e cori) sono i protagonisti di questo buon lavoro d’esordio, al quale – oltre al già citato Davide “Billa” Brambilla (pianoforte) – hanno collaborato Silvio Centamore (percussioni) e la Can&Gatt Carneval Band di Stabio. Da ascoltare nelle giornate di pioggia insistente per intravvedere un po’ di sereno all’orizzonte.

Roberto G. Sacchi

OD FULMINE “Od Fulmine”

OD FULMINE

Od Fulmine

Greenfog – The Prisoner Records

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Ormai da anni, mensilmente, vengo seppellito da una quantità inumana di dischi nuovi. Non che mi lamenti, sia chiaro, ma, oltre alla preoccupazione di finire come quel tale che ha passato gli ultimi anni della sua vita a dormire in macchina, sfrattato dalla sua insana passione per il vinile, c’è la frustrazione di non riuscire a dedicare la giusta attenzione alle molte cose che mi arrivano. Molte volte, addirittura, se ne accumulano così tante che non riesco neppure a sentirle (e colgo qui l’occasione per scusarmi con i molti – musicisti, etichette, uffici stampa – che mi inviano le loro cose e hanno pochi o nulli riscontri da parte mia: sappiatelo, faccio il possibile!). Molti di questi dischi, probabilmente la maggior parte, sono ovviamente italiani e, considerando quanto piccolo sia il nostro mercato, sorgono spontanee alcune domande e considerazioni: a chi son rivolte tutte queste uscite? Sono semplici bottiglie lanciate in un enorme oceano con dentro messaggi che si spera un giorno raggiungano qualcuno? Chi si fa carico dei costi di registrazione, produzione, stampa e diffusione di questi supporti, spesso caratterizzati da confezioni e booklet più curati ed eleganti di quelli delle più titolate etichette straniere? Cosa vuol dire, oggi, tenere in piedi un’etichetta discografica e che aspettative ha uno che della musica voglia fare la sua vita? Tutte domande a cui dare una risposta univoca e chiara pare sempre più difficile. Prendiamo ad esempio questo esordio dei genovesi OD FULMINE. Quintetto formato da Mattia Cominotto (voce e chitarra), Fabrizio Gelli (voce e chitarra), Stefano Piccardo (voce e chitarra), Riccardo Armeni (basso) e Saverio Malaspina (batteria) – musicisti con un passato in formazioni ben note quali Meganoidi, Numero 6, Esmen – gli Od Fulmine sono autori di canzoni rock in italiano, vigorose ed elettriche, sempre sostenute da un sound chitarristico e moderatamente ruvido, in cui viene data una certa attenzione sia al versante lirico che a quello melodico. Basterebbe insomma un piccolo spostamento da una parte o dall’altra per farli diventare un progetto più cantautorale o, per contro, più nettamente pop. La qualità media, sia pur senza ancora aver raggiunto una propria spiccata personalità, è molto buona, sia a livello di scrittura che di grana del suono: a dimostrarlo, tra le altre, ci sono le atmosfere ombrose ma intrigantemente melodiche di 40 Giorni; una ballata sentita e solida quale 5 Cose; la pimpante I Preti Dormono; la scura ed elettrica, con anche una bella parte di tromba ad opera di Luca GuercioGhiaccio 9; l’intensa Fine Dei Desideri che tutto chiude. Tutto bello insomma, niente da dire, come dicono loro stessi in bilico tra Hüsker Dü e Luigi Tenco; nello stesso tempo, però, anche non troppo appariscenti, più attenti alla sostanza che agli effetti speciali, forse anche troppo medi per imporsi con forza nello scenario musicale attuale. Il che ci riporta alle domande iniziali: quale sarà il destino di questo album e della sua band? Quello di un messaggio gettato nel nulla? Lo so che in giro c’è tantissima musica, tantissimi dischi e che è difficile dare credito a degli esordienti, italiani per di più, però sarebbe un peccato se queste canzoni rimanessero inascoltate. Noi quel messaggio lo abbiamo raccolto. E voi? Che farete?

Lino Brunetti

IL LUNGO ADDIO “Pinarella Blues”

IL LUNGO ADDIO

Pinarella Blues

Wallace-TB/Audioglobe

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Dal 2010 ad oggi, a nome Il Lungo Addio sono usciti la bellezza di 6 CDr ed un 7″, a dimostrazione di una prolificità difficilmente contenibile. Se poi consideriamo che dietro la sigla si nasconde quel Fabrizio Testa a sua volta intestatario di un paio di dischetti – con un terzo presto in arrivo – usciti anch’essi nello stesso periodo, la faccenda assume contorni ancora più chiari. Pinarella Blues è il suo primo disco ufficiale, nel senso che per la prima volta c’è una vera etichetta – o meglio, due – a sostenere il progetto. Il quale, nelle sue linee generali, non cambia, riproponendo una assai particolare canzone d’autore, plumbea e drammatica. Quello che c’è di fortemente diverso, rispetto al passato, è che anziché essere solo una faccenda di voce e chitarra, qui Testa è accompagnato da una band a basso e batteria, a dare una nuova spinta al suo suono, senza dubbio più rock che in passato. Per il resto, non cambia l’immaginario, fatto di storie ambientate lungo la riviera romagnola; non cambia il modo di raccontarle, in narrazioni che mescolano abilmente tristezza e dramma ad un’ironia esplicitata attraverso il ricorso a particolari fortemente visivi; non cambia il modo d’interpretarle, con una voce baritonale ed enfatica, a sua volta così carica da sottolineare ulteriormente quell’ironia di cui parlavamo poc’anzi. Sette tracce in diciotto minuti che portano titoli quali Pinarella BluesL’ultima FotografiaHotel Karim, giusto per citare le mie preferite. Sono canzoni stranianti, sia pur nella loro limpida chiarezza, che ancora una volta affascinano per la loro trasversale originalità. Per ulteriori info: www.illungoaddio.it

Lino Brunetti