MOOSTROO
Musica Per Adulti
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Non certo dei novellini alle prime armi e già autori di un (bel) disco d’esordio, tornano i Moostroo da Bergamo con il loro nuovo lavoro. Ancora una volta, come già nel precedente, la band mette in campo tutta la propria maestria nel creare un suono che parte dal folk ma che poi si evolve e si ramifica verso varie direzioni, abbracciando con nonchalance vari generi musicali, tenendo ben presente un omogeneità di fondo che amalgama alla perfezione le varie sfumature con le quali è dipinta la loro musica. Dulco Mazzoleni (voce e chitarra), Francesco Pontiggia (basso) e Igor Malvestiti (batteria) immettono immediatamente nell’apertura del disco tutta la loro inquietudine: Meteora lascia sbalorditi con quell’arpeggio iniziale, qui il folk elettrico non è relax per figli dei fiori bensì viene virato in seppia e malinconicamente spostato verso peasaggi decisamente più bui (Tardiva o precoce la vita è veloce/Nel tempo fugace l’amore ci cuce). Spolpami ha ancora dalla sua la delicatezza della chitarra che però lascia rapidamente il passo a scudisciate elettriche. Se per voi le Murder Ballads di Nick Cave significano qualcosa andatevi ad ascoltare la malata malinconia di Regalami o la riproposizione in versione acustica di Umore Nero, già presente sul primo disco e qui posta in chiusura. Il trio non si ferma qui, andando ancora più in profondità, scendendo le scale tortuose della new wave italiana con Ostinato Amore, regalandoci una versione più pop del lato oscuro dal finale momorabile. In mezzo a tutto questo c’è spazio anche per il nervosismo e le chitarre ruggenti di Oblio che tra dissonanze, distorsioni e un testo cattivo quanto basta (Sono nessuno niente mi consola/Cane malato cappio alla gola) insieme a Sul Ciglio segna il lato ruvido del gruppo. A questo punto che ne dite di un breve viaggio verso il Neil Young capace di scrivere ballate elettriche di cruda bellezza? Eccoci arrivati a Cadavere, ricca di phatos e malinconica tristezza: un grande pezzo. Lacci è un noise dall’andamento indolente, Usura è caratterizzata dalla voce di Luca Barachetti e dai suoi testi allucinogeni (Usura, sterco del nulla, bolla che strozza, arte ragioniera che ti lecca e poi s’ingozza, tarlo della fame nella tela dell’umano, e tremore della mano che lavora e si inginocchia) con un basso pulsante che crea una trama marziale di funk spurio, avvicinandosi alle grida dei CSI. Che dire, come detto in apertura il loro maggior pregio è quello di tenere bene in mano tutte le varie componenti musicali, i loro brani sono declinati attraverso una sintassi che presenta numerose sfaccettature, per niente nostalgica e proprio per questo vitale, eclettica e ricca di personalità.
Daniele Ghiro