LA PIRAMIDE DI SANGUE “Tebe”

LA PIRAMIDE DI SANGUE

Tebe

Boring MachinesSound Of Cobra

Ha un fascino ineguagliabile questo disco de LA PIRAMIDE DI SANGUE, progetto nato sotto l’ombra della Mole Antonelliana, o forse dovremmo dire del Museo Egizio, per mano del multistrumentista (clarinetto, percussioni, chitarra, tastiere) Gianni Giublena Rosacroce (pseudonimo di Stefano Isaia dei Movie Star Junkies), raggiunto poi da membri di Love Boat e King Suffy Generator, tanto che oggi la band consta, oltre al clarinetto, di due chitarre, due bassi, batteria e synths. Pubblicato da Boring Machines, in collaborazione con la berlinese Sound Of Cobra, Tebe è il loro esordio (prima c’era stata solo una cassetta realizzata dal solo Rosacroce) ed esce con una tiratura limitata di 500 copie in vinile rosso. Immaginatevi un sontuoso mix di psichedelia, jazz etiope, suggestioni mediorientali e profumi mediterranei ed inizierete ad inquadrare la loro musica. Nelle sette canzoni di cui è composto l’album, registrate in un’unica take nel Blue Record Studio di Torino, la band dà vita a delle mirabolanti tracce strumentali in cui ritmi ipnotici e mantrici fanno da base ai fraseggi del clarinetto, al dialogo fra questo e le chitarre, le quali, a loro volta, portano una speziatura space-psichedelica che di tanto in tanto esplode in squarci elettrici ed esplosioni di wah-wah. Il potere suggestivo di queste musiche – per non dirne che una, ascoltatevi la tesa, potente e molto free-mediorientale, L’Invasione Delle Locuste – e l’abilità strumentale e compositiva della band, fanno di Tebe un disco immaginifico ed originale, che sarebbe un peccato imperdonabile perdersi. Consigliato a tutti quelli che sono capaci di viaggiare anche con la fantasia.

Lino Brunetti

Cartoline dal San Miguel Primavera Sound 2012 – 31 maggio, day 2

All photos © Lino Brunetti.

Don’t use without permission.

A Storm Of Light

A Storm Of Light

Archers Of Loaf

Archers Of Loaf

The Afghan Whigs

The Afghan Whigs

Mazzy Star

Mazzy Star

Wilco

Wilco

Thee Oh Sees

Thee Oh Sees

The XX

The XX

Spiritualized

Spiritualized

THE PHONOMETAK LABS ISSUES vol. IX e X

WALTER PRATI & EVAN PARKER/LUKAS LIGETI & JOAO ORECCHIA

Phonometak #9

PAOLO CANTU’/XABIER IRIONDO

Phonometak #10

Wallace/Audioglobe

Con i volumi IX e X (questo secondo, fresco di stampa), si chiude la cosiddetta serie gialla, messa assieme tramite lo sforzo congiunto di Wallace Records e Phonometak Labs. L’intera serie è composta da dieci split album (in vinile 10″, tiratura limitata e numerata di 500 copie), il cui unico imperativo è sempre stato la più totale libertà, senza preoccuparsi troppo di seguire una linea precostituita che non fosse, semplicemente, quella di pubblicare grande musica. Ed è così che negli otto volumi precedenti si è passati dall’avanguardia al doom, dal jazz alle sperimentazioni rock e così via, spesso all’interno dello stesso LP. Tanti i nomi importanti che si sono susseguiti, sia italiani che internazionali: gli Zu (con Iriondo) e gli IceburnMats Gustaffson Paolo Angeli, gli OvO e i Sinistri (ancora una volta con Iriondo), Damu Suzuki (con Metak Network e con gli Zu), i Talibam! e i Jealousy PartyGianni Gebbia Miss Massive Snowflake, il trio Uchihasi KazuhisaMassimo PupilloYoshigaki Yasuhiro e gli On Fillmore, gli Scarnella di Nels Cline Carla Bozulich ed i Fluorescent Pigs. Nel nono volume della serie, il primo lato è occupato dalla collaborazione tra il sassofonista (al soprano) Evan Parker ed il compositore e ricercatore musicale Walter Prati (electronics, violoncello), già in passato protagonisti pure in un progetto musicale che vedeva coinvolto Thurston Moore dei Sonic Youth. Due tracce, la prima registrata durante una performance al Vancouver Jazz Festival del 2004, la seconda, invece, a Risonanze, a Venezia, datata 1999: The Western Front espone un serratissimo fraseggio di sax, mescolato alle infiltrazioni degli electronics, in modo da dar vita ad un sound brulicante e densissimo; più nebulosa e sospesa è invece Sonanze, decisamente più cinematica ed evocativa, tanto da guidare l’ascoltatore in un paesaggio indistinto, misterioso, fumoso. Sul secondo lato ci sono invece tre tracce fuoriuscite da una session tra Lukas Ligeti (batteria, microfoni) ed il sudafricano Joao Orecchia (electronics, chitarra, armonica, voce). Tre tracce, le loro, che pongono l’enfasi sui ritmi dettati dalle bacchette di Ligeti, attorno ai quali si attorcigliano le folate soniche in bilico tra avant, jazz e sperimentazione rock di Orecchia. In un pezzo come Fox paiono farsi avanti anche delle derive etno che aggiungono ulteriore carne al fuoco. Per il capitolo finale della serie si è, giustamente, deciso di giocare in casa: i titolari dell’ultimo split sono il proprietario stesso di Phonometak Labs, l’Afterhours e molto altro Xabier Iriondo, ed il suo compagno di mille avventure (Six Minute War Madness, A Short Apnea, Uncode Duello, gli ultimi Tasaday), Paolo Cantù. Quattro tracce, sul primo lato, per quest’ultimo, due sul secondo per Iriondo. L’idea di partenza, qui, per le musiche di entrambi è simile, è sta nel far interagire field recordings e reperti etnografici con nuova musica di matrice avant rock/elettronica. Sono assai diverse, però, le modalità che i due utilizzano: Cantù, armato di chitarre, clarinetto, batteria, sanza, organo, zither, voce, electronics e tapes, utilizza le registrazioni del passato come elementi d’arrangiamento, quindi come parti di nuove canzoni vere e proprie, ottimamente orchestrate e musicalmente d’incredibile fascino. Iriondo fa qualcosa di diverso: prende vecchie gommalacche a 78 giri, con registrazioni di vecchi jazzettini, canti delle mondine, voci e ne fa dei collage su cui poi interviene con svantagliate noise e ritmiche sfrangiate e destabilizzanti, creando dei cortocircuiti tra passato e presente di notevole impatto. Una chiusa, insomma, davvero ottima per l’intera serie che, ci auguriamo, possa essere un giorno raccolta in un unico cofanetto, magari anche in CD.

Lino Brunetti

EUSEBIO MARTINELLI and the GIPSY ABARTH ORKESTAR “Gazpacho”

EUSEBIO MARTINELLI and the GIPSY ABARTH ORKESTAR

Gazpacho

CD Baby

EUSEBIO MARTINELLI, trombettista classe 1976, dopo una miriade di esperienze con gruppi ed ensemble jazz, rhythm & blues, ma anche folk e rock, nonché la sua presenza nella band di Vinicio Capossela, a partire dal 2011, ha riunito attorno a sé un gruppo di musicisti, per dar vita ad un progetto di fusione tra la musica andalusa e gitana e quella balcanica. Il risultato, realizzato appunto con la sua GIPSY ABARTH ORKESTAR Mario Sehtl (violino tzigano), Nicolò Fiori (contrabbasso rock’n’roll), Jader Nonni (batteria e tapan) e Michele Barbagli (chitarra flamenco), a cui vanno aggiunti, come ospiti nel disco, alcuni musicisti d’origine serba, bosniaca ed inglese, che aggiungono altri strumenti come l’accordeon, il sassofono, il flugelhorn – lo possiamo sentire in Gazpacho, autentico biglietto da visita per le loro infuocate esibizioni live, effettuate letteralmente in mezzo al pubblico. Otto brani, quattro firmati da Martinelli e quattro traditional debitamente riarrangiati. La tecnica dei musicisti coinvolti è naturalmente superlativa, l’interplay tra di loro di assoluto rilievo ed il divertimento assicurato. All’interno di generi tradizionali ben codificati, Martinelli e la sua band, non si propongono di operare degli stravolgimenti e, quindi, sappiate che qui dentro non si propone nessuna operazione di rilettura moderna. Se quello che cercate, però, è una musica che sa essere festosa e sottilmente venata di una sempre aleggiante tristezza, che ondeggia tranquillamente tra le atmosfere più spagnoleggianti di Gazpacho e quelle più chiaramente balcaniche di Balkavalz, questo è il disco che fa per voi. Tra le varie tracce, a me è piaciuta moltissimo Migrant Slow Train, dove il dialogo tra la tromba di Martinelli ed il violino di Sehtl, è da urlo. Va da sé che, un progetto del genere, il suo meglio, lo offre ovviamente dal vivo.

Lino Brunetti

STEFANO FERRIAN’S dE-NOIZE “Chapter # 2 Lophophora”

Stefano Ferrian’s dE-NOIZE

Chapter # 2 Lophophora

dEN Records

Considerando la visuale ristretta e l’aria stantia che aleggiano sul panorama italiano, l’etichetta discografica dEN Records ha le proporzioni di un sogno: fondata dall’artista Stefano Ferrian per l’autoproduzione dei propri progetti, in breve tempo si è trasformata nella cartina di tornasole della scena avanguardistica milanese, attirando anche l’attenzione di artisti internazionali. L’obiettivo di Ferrian è evidentemente quello di creare una realtà dalla precisa identità artistica e dalla mentalità aperta ed eclettica, per questo affida la progettazione del packaging a Davide Soldarini, che riesce a trasformare ogni pubblicazione in uno studio di design, realizzando confezioni uniche e particolari che conferiscono ad ogni CD la forma e la bellezza di curati oggetti d’arte, del tutto in sintonia con lo spirito che anima la musica in essi contenuta. I propositi della coraggiosa dEn Records sembrano aderire ai canoni ed alle alte aspirazioni che hanno mosso il lavoro di prestigiosi marchi come la Esp Records degli anni ’60 o come la celebre Tzadik di John Zorn, dando voce e visibilità ad un underground artistico e culturale altrimenti muto ed ignorato: jazz, avanguardia, rock, noise, elettronica, poesia e sperimentazione, tutto quanto trascende il formato canzone e va oltre le note. Collocato in una splendida ed elegantissima conchiglia di cartone, il CD del progetto di Stefano Ferrian dE-NOIZE intitolato Chapter # 2 – Lophophora è ispirato al movimento religioso pellerossa Ghost Dance ed al massacro di Wounded Knee, dove le truppe statunitensi sterminarono la tribù dei Sioux: un soggetto curioso che si articola lungo un’unica suite suddivisa in otto movimenti, dove si intrecciano melodie e suoni astratti, voci ed emozioni in un flusso armonico sospeso tra rock e sperimentazione, tra spigoli noise e avanguardia jazz. Suonando diversi strumenti, Ferrian realizza uno straordinario a solo da cui traspaiono le ombre free del sassofono di Ornette Coleman, le scintille noise dei Naked City di John Zorn e l’art-prog dei Van Der Graaf Generator di Lemmings. Cupo e visionario, Chapter # 2 Lophophora potrebbe essere la musica che scaturisce dalle pagine di uno scritto di William Burroughs o appunto dalla scena di un massacro.

 Luca Salmini

GARDEN WALL “Assurdo”

GARDEN WALL

Assurdo

Lizard

Nome Storico del prog italiano, i GARDEN WALL capitanati da Alessandro Serravalle giungono al notevole traguardo dell’ottavo album. Poco importa se il loro è un ambito di nicchia, perché chi ha avuto la fortuna di incrociare il loro percorso si è quasi sempre imbattuto in musica fatta con il cuore per la testa. Cerebrali quasi fino all’eccesso tanta è la cura maniacale che viene fuori da queste tracce, un’assoluta padronanza di quello che è il progressive rock, la fusion, il metal e il jazz, senza però andare dal lato stucchevole della barricata. Non è un mero esercizio di stile questo, perché le combinazioni soniche dei Garden Wall lasciano spesso a bocca aperta. Quando ti aspetti un solo di chitarra ne arriva uno di violino, quando ti stai rilassando sobbalzi strattonato da ritmi metallici e growl sovrumani, tutto è messo a disposizione dell’ascoltatore, apparentemente in ordine sparso, ma la sintesi finale è, credetemi, un’altra. Un disco sorprendente perchè il primo ascolto è come se foste andati a vedere un thriller del quale non riuscite nemmeno per un attimo ad immaginarne la fine.

Daniele Ghiro