A fine 2008 finalmente riuscivo a prendermi una Reflex digitale professionale, la mitica Nikon D300, con cui poi avrei fatto una marea di foto.
In quell’inverno, sotto Natale, Bonnie Prince Billy fece tre concerti in tre chiese diverse e io, ovviamente, andai a tutti e tre.
Fu anche l’occasione per provare la macchina nuova, anche se all’epoca avevo degli obiettivi che definire scarsi è poco più che un eufemismo.
Ad ogni modo, quella che segue fu scattata il 19 dicembre 2008 nella chiesa di San Martino a Grezzago. Tra i pezzi che Bonnie eseguiva con Cheyenne Mize e Emmet Kelly in quei concerti, particolarmente memorabile era Champion, che di seguito potete sentire.
Dopo l’orribile 2020, il 2021 è stato nuovamente un anno difficile. La speranza sarebbe di poterlo archiviare come anno di transizione verso la normalità, cosa che però non si può affermare dato che al momento è ancora difficilissimo fare previsioni su ciò che ci attende e quindi è meglio tacere.
Quantomeno, sia pur ancora timidamente, è ripresa l’attività live (mentre scrivo tornata però nuovamente in forse), tanto che il sottoscritto è stato anche a diversi festival durante l’anno (End Of The Road in UK, Le Guess Who? in Olanda, Ferrara Sotto Le Stelle, Todays e Barezzi in Italia), oltre ad aver assistito a molti altri concerti, magari non come ai bei vecchi tempi, ma quel tanto che basta da poter cominciare a sperare che le cose possano tornare presto a rimettersi sui binari definitivamente. Come si diceva, però, anche solo per questioni di scaramanzia, è meglio non lanciarsi in previsioni.
Quella che di sicuro non è mancata, nel 2021, è stata la bella musica, tanto che credo di non essere stato investito da così tanti dischi come quest’anno. Un problema per certi versi, perché è diventato praticamente impossibile seguire tutto ciò che si desidererebbe, ma spesso anche frequentare come si deve i dischi che emergono dal marasma, pur dedicando alla musica un sacco del proprio tempo (è chiaro che a casa mia lo stereo non è mai spento).
Sono una prova di quanto dico le classifiche di fine anno che avrete già iniziato a vedere in giro, mai così varie e diversificate, nelle quali pure uno come me che ha ascoltato letteralmente centinaia di album nuovi, continua a trovare decine e decine di dischi potenzialmente da esplorare, a riprova ulteriore dell’incredibile mole di uscite, della varietà delle proposte, dell’impossibilità di abbracciare tutto anche per chi, come il sottoscritto, non ha preclusioni verso nessun genere e, pur avendo i propri gusti e le proprie idosincrasie, è animato sempre da grande curiosità.
In coda a quest’articoletto troverete il collegamento a una mega playlist di oltre 250 brani per svariate ore di musica. S’intitola Best 2021, ma il titolo è fuorviante, nel senso che dentro ci ho stipato dei brani tratti dai molti dei dischi che ho ascoltato durante l’anno (non da tutti, però). Non sembrasse presuntuoso potrei sostenere che sia una sorta di sunto dell’annata messa in piedi da un avveduto curatore, ma la realtà è che essa è più una sorta di promemoria e taccuino d’appunti realizzato soprattutto per me stesso, senza dimenticare poi che in essa mancano comunque moltissime cose, compreso quello che potrebbe essere il vostro disco preferito del 2021! V’invito comunque a dedicarle un ascolto, in mezzo al mazzo qualche bella scoperta la farete di sicuro.
Come detto altre volte, ma ogni anno sempre di più quindi, queste classifiche di fine anno sono più una sorta di gioco, il cui valore è quello che è. Personalmente però le trovo utilissime e divertenti, perché attraverso di esse continuo a scoprire cose che mi erano sfuggite, oppure sono portato a rivalutare cose che inizialmente avevo momentaneamente accantonato non dedicandogli la giusta attenzione. Nella lista che andrete a leggere qui sotto, almeno due/tre titoli sono entrati in extremis, proprio grazie a scoperte dell’ultima ora, fatte attraverso qualche lista o tramite l’accorto suggerimento di qualche contatto social illuminato.
La lista è così organizzata: in evidenza c’è un singolo disco scelto come “Disco dell’anno”, ben sapendo che la cosa di per sé non ha alcun senso; seguono cinquanta dischi in ordine alfabetico, cinque album dal vivo, tre ristampe (scelte tra le cose meno risapute) e tre film a carattere musicale.
A vincere la palma di disco dell’anno stavolta è toccato a Iosonouncane, il cui Ira è un lavoro di incredibile forza immaginifica, un mastodonte sonoro di quasi due ore che è continuato a crescere con gli ascolti e che è esploso ulteriormente attraverso la sua riproposizione live (ho avuto modo di vederlo tre volte). Un disco importante per la visione che gli sta dietro, per il suo essere stato pensato fin da subito come album e non come una semplice raccolta di canzoni da lanciare sui siti di streaming (sempre più la norma, apparentemente), per lo stile adottato che è sintesi fra vari linguaggi musicali. Se n’è parlato moltissimo, spesso a sproposito o comunque non con il giusto distacco, e sono convinto che sia un disco che rimarrà e che anche in futuro verrà ricordato come un classico della musica italiana.
Tra i cinquanta dischi c’è di tutto un po’. Si conferma la prosecuzione della lunga ondata delle nuove leve post punk, con alcune conferme (Shame, Viagra Boys, IDLES, anche i black midi, che però non sono in lista) e alcuni esordi che vengono segnalati tra le cose migliori sentite quest’anno (Black Country, New Road, Dry Cleaning, Squid). Parallelamente ad essa, si confermano tra le cose più interessanti quelle che arrivano dall’immenso e variegato universo black, nel quale confluiscono soul, jazz, hip hop, elettronica, funk e contaminazioni varie, per una serie di proposte eccitanti e stimolanti a dir poco. Qui i nomi da fare sono quelli di artisti quali Little Simz, Damon Locks Black Monument Ensemble, Sault, Ben Lamar Gay, Sons Of Kemet, Space Afrika, Cleo Sol e, se vogliamo, BadBadNotGood e pure l’incontro tra una leggenda quale Pharoah Sanders e un maestro dell’elettronica quale Floating Points.
In mezzo al resto, di tutto un po’, da quella che è stata, per me, l’artista rivelazione dell’anno (la cantante e compositrice di origini pakistane Arooj Aftab, fresca di firma per la prestigiosa Verve), a conferme di nomi ormai consolidati e sempre sulla breccia (gli inossidabili Low su tutti, ma poi The Notwist, gli Arab Strap, Nick Cave & Warren Ellis, i Goodspeed You! Black Emperor, Alessandro Cortini, Amerigo Verardi, Tindersticks, la grande accoppiata Bonnie “Prince” Billy/Bill Callahan o quella tra Sufjan Stevens e Angelo De Augustine, Sleaford Mods), a cui si aggiungono alcuni nomi nuovi (Anna B Savage, Marta Del Grandi, Arlo Parks), battitori liberi (lo strepitoso incontro tra The Body e Big/Brave, l’esordio epocale degli Springtime, l’intensissima LINGUA IGNOTA, la canzone disossata di Emma Ruth Rundle, il visionario Blak Saagan, i Vanishing Twin, l’Orchestre Tout Puissant Marcel Duchamp), ma anche alcune cose di rock più (The War On Drugs, Weather Station, The Hold Steady, Mdou Moctar, The Mountain Goats, Hiss Golden Messenger, Jim Ghedi, Steve Gunn, Ryley Walker) o meno “classico” (ancora Big/Brave, Tropical Fuck Storm, Deefheaven, gli sconosciutissimi Horseloverfat).
Tutti imperdibili i dischi dal vivo segnalati, mentre nel mare magnum delle ristampe mi pare giusto segnalare il cofanetto definitivo dedicato ai Faust, le ristampe dei dischi dei Seefeel e quella dell’album degli El Muniria.
Chiudo infine con tre film musicali imperdibili, con menzione speciale per Get Back ovviamente, un colpo al cuore per qualsiasi beatlesiano.
È tutto, vi lascio alle liste, alla playlist e ovviamente vi auguro uno splendido 2022 di musica e non solo!
Lino Brunetti
Album Of The Year IOSONOUNCANE – IRA
TOP 50 (in ordine alfabetico) AROOJ AFTAB – VULTURE PRINCE
ARAB STRAP – AS DAYS GET DARK
BADBADNOTGOOD – TALK MEMORY
BIG/BRAVE – VITAL
BONNIE “PRINCE” BILLY/BILL CALLAHAN – BLIND DATE PARTY
BLACK COUNTRY, NEW ROAD – FOR THE FIRST TIME
BLAK SAAGAN – SE CI FOSSE LA LUCE SAREBBE BELLISSIMO
THE BODY + BIG/BRAVE – LEAVING NONE BUT SMALL BIRDS
NICK CAVE & WARREN ELLIS – CARNAGE
ALESSANDRO CORTINI – SCURO CHIARO
DAMON LOCKS BLACK MONUMENT ENSEMBLE – NOW
MARTA DEL GRANDI – UNTIL WE FOSSILIZE
DRY CLEANING – NEW LONG LEG
DEAFHEAVEN – INFINITE GRANITE
BEN LAMAR GAY – OPEN ARMS TO OPEN US
GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR – G_D’S PEE AT STATE’S END!
JIM GHEDI – IN THE FURROWS OF COMMON PLACE
STEVE GUNN – OTHER YOU
HISS GOLDEN MESSENGER – QUIETLY BLOWING IT
THE HOLD STEADY – OPEN DOOR POLICY
HORSELOVERFAT – GREETINGS FROM NOWHERE
IDLES – CRAWLER
LINGUA IGNOTA – SINNER GET READY
LITTLE SIMZ – SOMETIMES I MIGHT BE INTROVERT
LOW – HEY WHAT
MDOU MOCTAR – AFRIQUE VICTIM
THE MOUNTAIN GOATS – DARK IN HERE
THE NOTWIST – VERTIGO DAYS
ORCHESTRE TOUT PUISSANT MARCEL DUCHAMP – WE’RE OK, BUT WE’RE LOST ANYWAY.
ARLO PARKS – COLLAPSED IN SUNBEAM
EMMA RUTH RUNDLE – ENGINE OF HELL
FLOATING POINTS,PHAROAH SANDERS & THE LONDON SYMPHONY ORCHESTRA – PROMISES
SAULT – NINE
ANNA B SAVAGE – A COMMON TURN
SHAME – DRUNK TANK PINK
SLEAFORD MODS – SPARE RIBS
CLEO SOL – MOTHER
SONS OF KEMET – BLACK TO THE FUTURE
SPACE AFRIKA – HONEST LABOUR
SPRINGTIME – SPRINGTIME
SQUID – BRIGHT GREEN FIELD
SUFJAN STEVENS & ANGELO DE AUGUSTINE – A BEGINNER’S MIND
TINDERSTICKS – DISTRACTIONS
TROPICAL FUCK STORM – DEEP STATES
VANISHING TWIN – OOKII GEKKOU
AMERIGO VERARDI – UN SOGNO DI MAILA
VIAGRA BOYS – WELFARE JAZZ
RYLEY WALKER – COURSE IN FABLE
THE WAR ON DRUGS – I DON’T LIVE HERE ANYMORE
THE WEATHER STATION – IGNORANCE
LIVE ALBUMS THE BLACK CROWES – THE HOMECOMING CONCERT, ATLANTA, DECEMBER 1990 (in Shake Your Money Maker Deluxe)
JAMIE BRANCH – FLY OR DIE LIVE
CAN – LIVE IN STUTTGART 1975
BRUCE SPRINGSTEEN & THE E STREET BAND – THE LEGENDARY 1979 NO NUKES CONCERTS
Più che su riviste, siti o webzines – che come sempre sono pieni di recensioni, articoli e interviste – è tra molti appassionati di musica sui social che serpeggia il luogo comune secondo il quale non uscirebbe più musica interessante. Per quello che mi riguarda è vero esattamente il contrario: ne esce troppa!!!
La verità è che essere realmente convinti che non ci sia più buona musica in giro non può che significare che di ciò che esce oggi non si ascolta nulla o, forse peggio, che lo si fa esclusivamente con orecchie ancora ferme alla musica del passato, rimanendo del tutto refrattari a qualsiasi cambiamento. Forse è vero che manchino i capolavori capaci di segnare un’epoca e che suoni autenticamente nuovi latitino un po’ in tutti i generi, ma ciò non toglie che escano ancora tonnellate di album capaci di emozionare, esaltare, incuriosire.
Detto questo, come ormai da molti anni a questa parte, voler sintetizzare un’annata con una trentina di titoli è impresa tra il folle e lo sciocco, ma proprio per questo è sempre così divertente farlo. La lista che troverete qui sotto è ovviamente frutto di ascolti parziali – pur avendo ascoltato centinaia di album nuovi, quanti me ne sarò persi che avrebbero potuto finire in questa lista? – del tutto soggettiva, che non può che essere specchio dei miei gusti e di quello che alla fine ho ascoltato di più. Come sempre, quindici titoli sono in maggior evidenza, mentre gli altri quindici sono potenzialmente intercambiabili con altri.
Il mio disco dell’anno è probabilmente quello dei Purple Mountains di David Berman, un disco straordinario a prescindere dalla fine del suo sfortunato autore, con canzoni a dir poco fantastiche musicalmente, melodicamente e liricamente. Subito a ruota l’album dei Lankum, un pugno di canzoni intente a rivisitare il folk che mi sono entrate nel profondo in un battito di ciglia e che proprio non riesco a smettere di ascoltare. Per molti versi questo è stato l’anno dei Big Thief, due dischi uno più bello dell’altro a dimostrarlo. Della classe di personaggi come Bonnie “Prince” Billy, Bill Callahan, Tim Presley, Cesare Basile o Vinicio Capossela non c’è da dir quasi nulla, se non che tutti i loro nuovi lavori sono vette nelle rispettive discografie. Due dischi che indubbiamente hanno segnato l’annata sono quelli di Nick Cave e LINGUA IGNOTA, due album dolorosi e difficili che ho fatto una certa fatica ad assorbire e a farmi piacere, ma che alla fine mi hanno definitivamente conquistato con la loro intensità. Per il resto sempre immensi gli Swans, anche in questa loro ennesima, nuova incarnazione, come grandi si sono dimostrati i Mercury Rev nella loro rivisitazione del dimenticato capolavoro di Bobbie Gentry, The Delta Sweete. Con All Mirrors Angel Olsen dovrebbe aver convinto ormai tutti del suo immenso talento, ma sono molte le cantautrici che ci hanno donato ottimi lavori nel 2019: qui ho messo in evidenza Weyes Blood, Julia Jacklin, Aldous Harding, Cate Le Bon, Amanda Palmer, a cui si potrebbe idealmente aggiungere l’esordio di una Kim Gordon finalmente convincente nel suo post Sonic Youth, ma nella playlist ne troverete altre. Per quel che riguarda il resto, in lista trovate un po’ di giovani band come FontainesD.C., Vanishing Twin o Diiv, la poesia di Kate Tempest, le sperimentazioni futuriste di Holly Herndon, il jazz spaziale dei Comet Is Coming, outsider come Tropical Fuck Storm o 75 Dollar Bill, i sempre enormi Sleaford Mods, due modi distanti di vedere la canzone d’autore come messo in chiaro da Craig Finn e Bon Iver.
Il consiglio, comunque, rimane sempre quello di farvi un giro per la playlist che trovate alla fine dell’articolo, dove i titoli arrivano a 112 (per quasi nove ore ininterrotte di musica) e neppure quella riesce a fare una panoramica completa dell’universo musicale targato 2019.
Essendo anche a fine decennio, non è improbabile che prossimamente si tenti di fare un sunto anche di questi “Anni Dieci”. Vedremo, intanto buon ascolto!
Lino Brunetti
I QUINDICI
PURPLE MOUNTAINS – Purple Mountains
LANKUM – The Livelong Day
BONNIE “PRINCE” BILLY – I Made A Place
SWANS – leaving meaning.
BIG THIEF – U.F.O.F./Two Hands
THE COMET IS COMING – Trust In The Lifeforce Of The Deep Mystery
MERCURY REV – Bobbie Gentry’s The Delta Sweete Revisited
LINGUA IGNOTA – CALIGULA
NICK CAVE AND THE BAD SEED – Ghosteen
ANGEL OLSEN – All Mirrors
75 DOLLAR BILL – I Was Real
FONTAINES D.C. – Dogrel
TROPICAL FUCK STORM – Braindrops
DIIV – Deceiver
KATE TEMPEST – The Book Of Traps And Lessons
GLI ALTRI QUINDICI
BILL CALLAHAN – Shepherd In A Sheepskin Vest
TIM PRESLEY’S WHITE FENCE – How To Feed Larry’s Hawk
Annata musicalmente eccezionale il 2014, probabilmente una delle migliori degli ultimi anni, alla faccia di chi sostiene che la musica sia su un binario morto. Ne è testimonianza anche la grande eterogeneità delle classifiche viste in giro fino ad ora che, aldilà di alcuni titoli presenti praticamente ovunque, messe tutte assieme propongono decine e decine di titoli da ricordare. Qui di seguito il mio contributo, con trenta titoli internazionali e dieci italiani. Volendo, sarei potuto anche arrivare a cinquanta e oltre, ma mi è parso più giusto limitarmi alle cose che in un anno così affollato di buone cose ho frequentato di più. Perciò basta parole, buon ascolto e, soprattutto, buon 2015!
Lino Brunetti
T O P 3 0
THE WAR ON DRUGS “Lost In The Dream”
SUN KIL MOON “Benji”
COURTNEY BARNETT – The Double EP: A Sea Of Split Peas
FIRE! ORCHESTRA – Enter
BONNIE “PRINCE” BILLY – Singer’s Grave A Sea Of Tongues
EARTH – Primitive And Deadly
ST VINCENT – St Vincent
WILDBIRDS & PEACEDRUMS – Rhythm
SCOTT WALKER & SUNN O))) – Soused
SWANS – To Be Kind
SHARON VAN ETTEN – Are We There
BOB MOULD – Beauty And Ruin
TY SEGALL – Manipulator
DAMIEN JURADO – Brothers And Sisters Of The Eternal Son
THEE SILVER MT ZION MEMORIAL ORCHESTRA – Fuck Off Get Free We Pour Light On Everything
NENEH CHERRY – Blank Project
MIREL WAGNER – When The Cellar Children See The Light Of Day
TEMPLES – Sun Structures
BECK – Morning Phase
PONTIAK – Innocence
THE MEN – Tomorrow’s Hits
THURSTON MOORE – The Best Day
DAMON ALBARN – Everyday Robots
ANGEL OLSEN – Burn Your Fire For No Witness
PARQUET COURTS – Sunbathing Animals
THE WYTCHES – Annabel Dream Reader
STONE JACK JONES – Ancestor
GOAT – Commune
LUCINDA WILLIAMS – Down Where The Spirits Meets The Bone
Se non insolita, quantomeno curiosa la carriera musicale della cantautrice statunitense Shannon Stephens. Sul finire degli anni novanta è leader della band indie-folk Marzuki, nelle cui fila è presente un giovanissimo Sufjan Stevens. Interrottasi quell’esperienza, proprio mentre Stevens pubblicava il suo primo disco (era il 2000), anche Shannon dava il via alla sua carriera solista, pubblicando un album omonimo, interessante ma dalle scarse fortune commerciali. Poi, per quasi dieci anni scompare; fa la moglie e la mamma e pare quasi che la musica sia una faccenda definitivamente accantonata. Tutto ciò fino a che Bonnie “Prince” Billy non rispolvera una delle sue canzoni (I’ll Be Glad, su Lie Down In The Light), e qualcuno, sulla stampa e su internet, si ricorda di quel suo primo disco. Non sappiamo se sia stata quella la molla, sta di fatto che l’anno dopo questa attestazione di stima da parte di Bonnie, nel 2009, la Stephens torna con un nuovo album, The Breadwinner, tra l’altro pubblicato dall’etichetta del vecchio amico, ormai una star, Sufjan Stevens, che l’anno seguente ristamperà pure l’ormai introvabile esordio. Arriviamo così all’oggi e a questo Pull It Together, disco di cantautorato femminile, che ci mostra un’autrice di gran talento, matura e di indubitabile classe. Con alle spalle una band composta dal chitarrista Jeff Fielder, dal tastierista Steve Moore e dal batterista James McAlister (ma della partita è anche il multistrumentista DM Stith) e con l’attenta produzione di Kory Kruckenberg, stavolta Shannon ci ha consegnato il suo disco più vario, solido, testimonianza di una definitiva e rinnovata consapevolezza delle proprie capacità. Si alternano così bei numeri di folk-rock melodico come Care Of You e brani dall’anima quasi blues come Your Faboulos Friends o Buddy Up To The Bully, entrambe con qualcosa di Ani Di Franco. Piace l’intimità di molte delle canzoni in scaletta: Wax And Feathers, voce, chitarra elettrica e contrabbasso, Cold November, opportunamente autunnale e quasi solo voce e piano, l’ottima Responsible Too Long, con cui il disco si chiude. Piacciono soprattutto tre ballate che sono dei piccoli capolavori e da sole valgono l’acquisto: Girl, dai risvolti soul e con un pianoforte sfiorante il jazz, l’impagabile e romanticissimo duetto con Bonnie “Prince” Billy in una Faces Like Ours dai toni country, con l’organo e la pedal steel a donare calore, la lunga e memorabile Down The Drain And It’s Gone, intensa, accorata, accesa di passione in un ritornello fuso ad un impasto di chitarre elettriche. All’interno di un affollato campo come quello del cantautorato femminile, una prova davvero convincente.