Skullcrusher
Quiet The Room
Secretly Canadian Records
Difficile credere che nel pieno dei vent’anni, già ci si possa ritrovare a rimuginare sul passato piuttosto che fantasticare sul futuro, ma forse succede quando si hanno delle canzoni da scrivere come la giovane cantautrice Helen Ballentine in arte Skullcrusher, che negli ultimi tempi non ha fatto altro che mettere insieme le memorie e le sensazioni della propria infanzia “...attraverso un’ondata di emozioni: rabbia, tristezza, pietà, confusione, il tutto cercando una sorta di compassione e ho provato a catturare le contraddizioni che compongono il mio passato per definire chi sono ora…”.
In realtà, non è la prima volta che Helen Ballentine mostra un comportamento piuttosto precoce rispetto alla media, dato che all’età di soli 5 anni comincia a suonare il piano e ha da poco concluso l’università, quando di punto in bianco abbandona la stabilità di un lavoro presso una galleria d’arte per dedicarsi alla musica a tempo pieno: le prime canzoni arrivano nel 2019 e nei due anni successivi escono un paio di EP e altrettanti singoli, inclusa una Song For Nick Drake, che lascia intendere quale sia il verso della sua musica.
In generale, la si direbbe una folksinger sensibile e introspettiva, ma, più che raccontare delle storie, il songwriting di Skullcrusher sembra mettere insieme i pezzi, che si tratti di frammenti di emozioni, di sentimenti inespressi, di lampi d’immaginazione, di solitarie note di pianoforte, di arpeggi di chitarra, del rollio di un banjo, d’interferenze d’elettronica o di campionamenti. “…È come strati di carta velina, come se qualcuno provasse a fare un disegno e si riuscisse a intravedere l’intero processo…” dichiara l’autrice riguardo il suo metodo compositivo e deve essere con questo sistema che ha realizzato il debutto Quiet The Room con l’aiuto del multistrumentista Noah Weinman e del produttore Andrew Sarlo presso il Chicken Shack studio, non lontano dai luoghi della sua infanzia che riaffiorano nelle canzoni.
Sospeso tra i momenti più effimeri dei Big Thief e le atmosfere di un disco come For Emma, Forever Ago dei Bon Iver, Quiet The Room è un lavoro basico e dal tono confessionale, fatto dei sussurri di rarefatte ballate d’ispirazione folk dai tratti malinconici e a volte addirittura spettrali, che il giornalista Marc Beaumont del The Guardian descrive come “…inni alt-folk splendidamente diafani infestati dagli evanescenti fantasmi di piano e chitarre acustiche affogati molti anni fa in una laguna del Laurel Canyon…”.
Dal senso di malinconia che lo pervade, si direbbe che Quiet The Room nasca da un qualche dolore che tormenta l’animo sensibile dell’autrice e che la musicalità dolce e i parchi arrangiamenti delle canzoni abbiano fondamentalmente una funzione catartica e consolatoria trasformando l’ansia in quiete e la realtà in sogno o almeno è l’impressione che suscitano tenui acquerelli lo-fi come They Quiet The Room e la pianistica e struggente Window Somewhere, ariosi folk come Whatever Fits Togheter, disturbanti registrazioni sul campo come Whistle Of The Dead, minimali ballate dagli sfondi ambientali come la fantasmatica Lullaby In February, effimere nenie acustiche come Pass Through Me e l’onirica It’s Like A Secret, bucolici interludi strumentali come Outside, Playing o serenate shoegaze come la sulfurea Sticker.
In un primo momento il carattere tanto personale e in un certo senso privato delle canzoni di Skullcrusher potrebbe quasi mettere a disagio, ma una volta entrati nel mood, Quiet The Room è un disco che svela piccole meraviglie a ogni ascolto.
Luca Salmini