Best 2022 part 1: Daniele Ghiro

Fine anno, tempo di classifiche. Che poi non è che sia un appassionato di questo tipo di cose ma è interessante andare a spulciare le playlist altrui per poter scovare qualcosa di interessante che mi è sfuggito o che, pur non rientrando nei miei ascolti abituali, possa essere degno di un approfondimento. Dunque proprio questo è l’intento, magari anche solo per dare qualche spunto o suscitare un po’ di curiosità.

Al solito, e alla faccia di chi dice che “non c’è più la musica di una volta” (frase che odio profondamente) ci sono tante cose interessanti e voglio partire dalla musica italiana, tanto bistrattata sui social e commentata sotto ogni post con risate e moti di repulsione. Certo che se il punto di riferimento è Rolling Stone, Radio 105 e X-Factor, ovvio che le risultanze possano essere non proprio in linea con la musica che mi piace, ma basta farsi un giro su Bandcamp (tanto per dirne uno) e troverete un mondo sommerso ricco di spunti. Emblematico a questo proposito è il resoconto finale che Spotify manda annualmente ai propri abbonati (il WRAPPED): il mio riassunto è completamente un’altra cosa rispetto ai miei veri ascolti, frutto del fatto che la maggior parte della musica l’ascolto in ufficio, con i miei CD e LP, mentre Spotify (a parte le playlist che mi faccio per l’auto) lo utilizzo come enorme motore di ricerca e i risultati sono ovviamente sorprendenti.

Partiamo. X-Factor dicevamo: Manuel Agnelli ha tirato fuori un disco in modalità Afterhours filtrato con innesti quasi sanremesi, buon risultato, al netto di tutte le chiacchiere sul personaggio. Verdena e Marlene Kuntz dico NI, a metà strada tra vecchio e nuovo, non mi hanno entusiasmato particolarmente pur essendo due prodotti di medio livello, al contrario di quanto fatto da Capovilla con i suoi Cattivi Maestri, che ha rialzato l’asticella dopo un periodo un po’ di stanca, bel disco, intenso. Il ritorno degli Ufomammut, Fenice, è una bella sorpresa. Basta, il mainstream termina qui, andiamo un po’ più a fondo. Innanzitutto Bunuel, Killer Like Us è una bordata noise di grande intensità. I Messa con Close hanno sorpreso un po’ tutti ma chi si è filato i due precedenti dischi sapeva che prima o poi il capolavoro sarebbe arrivato, eccolo qui: doom, black, rock e attitudine da vendere. Tenebra, Moongazer è un viaggio a ritroso nel tempo tra stoner, hard rock, blues e potenza. Hate & Merda, Ovunque Distruggi è un concentrato di odio e violenza. Nero Kane, Of Knowledge And Revelation, oscuro, misterioso e romantico. Nicola Manzan, Nikolaj Kulikov, un viaggio onirico nell’Unione Sovietica dei vecchi tempi, ammaliante. OvO, Ignoto, mortifero e funereo noise/drone dei bassifondi. Petrolio, La disobbedienza, inusuale noise elettronico, visuale, estremo. Laika nello spazio, Macerie, due bassi e batteria per una proposta particolare. Ottone Pesante, …And The Black Bells Rang, metal jazz con i fiati. Le Pietre Dei Giganti, Veti e Culti, psichedelia, prog e riti pagani. Ut, Il Pozzo e la Piramide, ve l’ho già detto che mi piace il noise? Corteccia, Vol.1, sludge doom psichedelico. Yesterday Will Be Great, The Weather Is Fantastic, post rock e psychedelia. Le Zoccole Misteriose, Oltre la Siepe, punk hardcore scatenato. Modern Stars, Space Trips For The Masses, space rock ipnotico. Non posso continuare all’infinito, sicuramente avrò dimenticato qualcuno ed è solo la dimostrazione che il piatto è molto ricco, al di là dei ristoranti stellati ci sono le trattorie, dove forse si mangia meglio.

Premetto che sono onnivoro e volentieri ascolto un po’ di tutto ma per quanto riguarda gli artisti internazionali tralascio i nomi “classici”, che pure ho ascoltato volentieri e con grande soddisfazione (Petty e Clapton, che live!, un Neil Young ancora in palla, ecc.) e anche altri ascolti “diversi” (Bjork, The Smile, Black Country, New Road ecc.) che pure mi sono altrettanto piaciuti, per concentrarmi sulla musica che ha più attinenza con il mio mood. Per prima cosa consiglio un disco che sono sicuro non troverete in nessuna classifica visto che non so per quale motivo non se li cagano in molti (probabilmente sono io che li sopravvaluto, boh), cioè …And You Will Know Us By The Trail Of Dead, che giunti al loro undicesimo disco, XI: Bleed Here Now, ancora riescono a tirare fuori un signor album che si muove tra hard rock, metal e prog: un modo di comporre canzoni che è solo loro e sempre dal livello qualitativo altissimo. Interpol, The Other Side Of Make Believe, è forse il disco che ho ascoltato di più, l’ho trovato impeccabile, difficile, elegante, intriso di quella new wave elettrica che tanto mi piace. Il ritorno dei Cave In, Heavy Pendulum, è una botta tremenda di post hardcore con melodie che in molti si sognano. Gli Zeal & Ardor, Zeal & Ardor, continuano la loro strana coniugazione di black metal e gospel, mi piacciono perché veramente fuori dagli schemi. Dalla martoriata terra ucraina arrivano i White Ward, False Light, lunghissimo album di grande potenza, una sorta di prog-sludge ben costruito. Confermano la propria indipendenza i Darkthrone, Astral Fortress, che ancora una volta ribadiscono la propria fiera appartenenza al metal estremo degli anni ottanta. Il ritorno dei Mars Volta, Mars Volta, è un sorprendente viaggio nella musica caraibica e messicana, al solito niente di banale da loro. Off!, Free LSD, glorioso punk ancora urticante. Soul Glo, Diaspora Problems, hardcore innovativo e senza compromessi. Gli Elder, Innate Passage, sono finalmente giunti alla sintesi di tutto quanto fatto fino ad ora, prog e metal (che insieme spesso sono una grande rottura di palle) fatto bene. Gloriosi i Voivod, Synchro Anarchy, sempre un passo avanti rispetto a tutti i gruppi thrash. Boris, Heavy Rocks 2022, chevvelodicoaffare, ogni cosa che fanno mi piace. Saluto con piacere il ritorno potente degli Oneida, Success, diretto come non succedeva da tempo. Poi ci sono tanti altri dischi degni di attenzione ma non finirei più, quindi mi fermo qui. Buon Ascolto!

Daniele Ghiro

ROCK CONTEST 2014, Auditorium Flog, Firenze, 13 dicembre 2014

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Tutte le foto © Lino Brunetti

Giunto alla sua ventiseiesima edizione consecutiva, il Rock Contest di Firenze, come sempre organizzato impeccabilmente dai tipi di Controradio, col contributo del Comune del capoluogo toscano, si conferma più che mai una delle manifestazioni musicali, riservate ad artisti emergenti, tra le più importanti in Italia. Negli anni, tanti i nomi, poi diventati conosciuti tra gli appassionati, usciti da qui. La partnership con l’associazione KeepOn (circuito che raggruppa promoter, direttori artistici e manager di oltre un centinaio di locali dislocati in tutta Italia) – attraverso la quale i gruppi finalisti vengono inseriti nel circuito della musica live – e la possibilità, per il vincitore, di registrare un album in uno studio professionale (tra i migliori in Italia) come il Sam Recording Studio, sono solo alcuni dei motivi che ogni anno spingono centinaia di band ad iscriversi al contest. Da questo punto di vista, il 2014 è stato forse l’anno dei record: oltre seicento i demo giunti agli organizzatori, da cui sono stati estrapolati i 36 gruppi che si sono fronteggiati nelle eliminatorie, definitivamente ridotti a 6 nella serata conclusiva, come sempre svoltasi all’Auditorium Flog, sotto l’occhio attento non solo del numeroso e caloroso pubblico (chiamato al voto), ma pure sotto quello di una giuria tecnica, quest’anno presieduta da Manuel Agnelli degli Afterhours e con al suo interno giornalisti ed operatori del settore (tra cui anche il sottoscritto), ma anche musicisti come Piero Pelù e Max Collini degli Offlaga Disco Pax che, proprio da qui, dieci anni fa, iniziarono la loro fulgida carriera. Delle band arrivate in finale, aldilà di una qualità media in effetti piuttosto alta, pur nell’incredibile eterogeneità di generi, a colpire è stata soprattutto la padronanza tecnica e la professionalità con cui hanno affrontato pubblico e palco, con una sicurezza da formazioni scafatissime, non certo da esordienti.

Lo Straniero

Lo Straniero

I primi ad esibirsi sono stati i piemontesi Lo Straniero, autori di un pop-rock dalle inflessioni wave e con qualche influsso electro-pop, che in alcuni frangenti mi hanno ricordato certe cose ai tempi pubblicate dai Dischi del Mulo, e quindi con più di un contatto col mondo CCCP/CSI, di cui i ragazzi sicuramente saranno fan. Davvero niente male.

Beyond The Garden

Beyond The Garden

Dopo di loro, quelli che alla fine risulteranno essere i vincitori dell’edizione 2014, i fiorentini Beyond The Garden. Il loro è un misto d’indie-rock e post-punk, con l’accento posto fortemente sul ritmo e su un suono sì capace di qualche spigolo, ma sicuramente anche molto accattivante. Immaginatevi dei Liars meno estremi e più pop ed inizierete a farvi almeno un’idea. Di sicuro risentiremo parlare di loro, perché mi sono parsi assai determinati e consci delle loro possibilità. Grande tenuta del palco e brillante l’idea di terminare il proprio set coi tamburi in mezzo ad un pubblico già adorante.

Plastic Light Factory

Plastic Light Factory

Arrivavano invece da Mantova i Plastic Light Factory – si piazzeranno al secondo posto – giovanissimo trio in bilico tra lisergici flash shoegaze e acide escursioni rock psichedeliche tinte di rumore. Abbigliamento vintage d’ordinanza e buona padronanza strumentale messa al servizio di canzoni di grande pregnanza elettrica, magari non ancora personalissime ma di certo indirizzate sulla retta via.

Mefa

Mefa

Ad ulteriore dimostrazione dell’eclettismo perpetrato dal Rock Contest, la performance dell’altro fiorentino in gara, il rapper Mefa. Apparentemente un pesce fuor d’acqua, con la grinta e la sfacciataggine dei suoi 16 anni, Mefa ha pungolato il pubblico con liriche a mitraglia ed un piglio da autentico veterano, cosa che ci porta a credere che l’hip hop italiano potrebbe aver trovato qui un nuovo protagonista.

Mefa

El Xicano

Tutt’altre atmosfere con il cantautore romagnolo El Xicano, probabilmente il più coraggioso fra tutti, visto che si è presentato sul palco forte della sola essenza delle sue canzoni, offerte tramite sola voce e piano. Non è facile mantenere desta l’attenzione del pubblico se sei uno sconosciuto e stai proponendo brani intimi, personali e minimalisti: il fatto che El Xicano ce l’abbia fatta ci dice di un autore bravo e con qualcosa da dire.

Sofia Brunetta

Sofia Brunetta

Ultima infine a salire sul palco tra gli artisti in gara, la salentina Sofia Brunetta, in questo caso accompagnata da una band (si classificherà al terzo posto). Rock, soul e funk per lei, in canzoni pimpanti e tutte da ballare, con una sezione ritmica pulsante, un chitarrista tendente a ficcanti assoli anche dissonanti e, soprattutto, indubbie doti vocali da parte della titolare della band. Bravi anche loro, insomma.

...a Toys Orchestra

…a Toys Orchestra

Mentre la giuria si riuniva per eleggere il vincitore, on stage intanto salivano gli ospiti della serata, gli ormai famosi …A Toys Orchestra, sempre bravissimi dal vivo e qui intenti a presentare soprattutto le canzoni del loro recente, ottimo Butterfly Effect. Tra il loro set ed i bis, la premiazione dei primi tre gruppi e l’assegnazione del premio intitolato ad Ernesto De Pascale che, ormai da qualche anno, viene dato alla miglior canzone cantata in italiano. A vincerlo quest’anno i Lefebo, eletti tramite un messaggio video da Cristina Donà.

Lino Brunetti

ROCK CONTEST 2014: i finalisti!

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Giunge alla fase finale il Rock Contest 2014, il concorso nazionale per band emergenti che ogni anno seleziona e lancia i nuovi gruppi del panorama indipendente italiano. La 26a edizione, organizzata da Controradio, con il contributo del Comune di Firenze, festeggia la finale del concorso con sei gruppi provenienti da una selezione di oltre 600 iscritti e 36 in gara, sabato 13 dicembre all’Auditorium Flog (via M. Mercati 2/b – Firenze. Ingresso: 8 euro; 6 euro fino alle 22,30 – gratuito soci Controradio Club).

Il concorso, che prevede la votazione del pubblico e della giuria di esperti (musicisti, produttori, giornalisti), vedrà la presenza in finale di Manuel Agnelli, leader degli Afterhours, in qualità di presidente di giuria. Presidentessa del Premio Ernesto De Pascale che ogni anno segnala il miglior brano cantato in italiano è Cristina Donà che ha decretato la vittoria del brano “Surreali” del gruppo fiorentino Lefebo.

L’edizione 2014 del Rock Contest riunisce dunque idealmente due dei nomi più affermati della musica alternativa italiana, da tempo molto vicini allo spirito del concorso, così come lo sono stati in passato Patty Smith, Piero Pelù, Brunori sas, Dente, Mauro Ermanno Giovanardì.

Si sfideranno in finale la neo psichedelia ritmata dei Plastic Light Factory (Mantova), l’indie dance elettronica dei Beyond The Garden (Firenze), il soul/funk cinematico di Sofia Brunetta (Lecce), la new wave italiana rivisitata de Lo Straniero (Alessandria), l’ “horror pop” in italiano di El Xicano (Forlì) e l’hip hop del giovanissimo Mefa (Firenze)

I premi del Rock Contest sono molteplici, il primo è sicuramente la vetrina mediatica che offre ogni anno a gruppi spesso sconosciuti e che grazie al concorso hanno la possibilità di farsi ascoltare ai numerosi addetti ai lavori presenti e al pubblico. Gli altri premi sono numerosi, e funzionali alle esigenze dei gruppi, rappresentati dalla possibilità per il vincitore di usufruire di uno studio di registrazione professionale per la realizzazione dell’album di esordio, grazie alla partnership con il Sam Recording Studio, lo studio di riferimento della nuova scena italiana, già usato da Zen Circus, Dente, Virginiana Miller, Teatro degli Orrori; la produzione di un videoclip musicale curato da Riprese Firenze; la presenza di tutti i gruppi finalisti e semifinalisti nel CD Rock Contest 2014 (in collaborazione con Audioglobe) e la disponibilità per i finalisti di un tutoraggio di un anno da parte dello staff del Rock Contest.

Uno dei premi fondamentali per i migliori gruppi del Rock Contest è quello reso possibile grazie all’alleanza con l’associazione KeepOn, circuito che raggruppa oltre un centinaio fra promoter, direttori artistici e manager di altrettanti locali di tutta Italia. I gruppi selezionati dal Rock Contest, già a partire da gennaio 2015, avranno l’opportunità di suonare dal vivo sul territorio nazionale. Un tassello molto importante per la promozione delle band, che dopo essere state scoperte e fatte conoscere dal concorso, troveranno così la possibilità dell’esibizione live con un percorso agevolato in contesti qualificati quali sono i locali della musica dal vivo in Italia selezionati da KeepOn.

Ospiti speciali della finale 2014 …A Toys Orchestra, un’istituzione della scena musicale italiana che presenteranno dal vivo il loro ultimo lavoro “Butterfly Effect” anticipato dal fortunato singolo “Always I’m Wrong”. L’album è stato registrato al Vox-Ton Studio di Berlino da Jeremy Glover (Liars, Devastations, Crystal Castle) e ha delineato un nuovo profilo del gruppo, decisamente più elettronico, riuscendo a far conoscere ed apprezzare la band fuori dai confini nazionali. Il concerto, in cui la band sarà coadiuvata dal polistrumentista Julian Barrett, sarà l’occasione per ascoltare dal vivo quello che è già stato applaudito dalla critica di settore come uno dei lavori italiani più convincenti dell’anno.

Firenze si fa dunque promotrice della nuova scena musicale italiana, scoprendo e valorizzando le proposte delle più giovani generazioni di musicisti, un compito che da 26 anni il Rock Contest svolge, supplendo alle carenze ed alle difficoltà in un momento di crisi dell’intera catena produttiva della discografia nazionale.

ROCK CONTEST 2014 – XXVI EDIZIONE

GRANDE SERATA FINALE
SABATO 13 DICEMBRE
AUDITORIUM FLOG
apertura porte ore 21.00
inzio esibizioni band finaliste ore 22.00
inizio esibizione A TOYS ORCHESTRA 23,50 ingresso 5 € fino alle 22,00 / 8 € dopo le 22,00

GRATIS PER I SOCI DEL CONTRORADIO CLUB !!!

Ulteriori info e la possibilità di avere un assaggio dei finalisti qui.

AFTERHOURS “Hai Paura Del Buio? – Edizione Speciale”

AFTERHOURS

Hai Paura Del Buio? – Edizione Speciale

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Stanno attraversando un momento particolare gli Afterhours alla metà degli anni novanta. Dopo un pugno di album cantati in inglese, che mai li hanno fatti realmente uscire dall’underground, tentano coraggiosamente il passaggio all’italiano, utilizzando in maniera intelligente la tecnica del cut up, e miscelando in maniera sfavillante una musica che sia connubio di melodia e rumore chitarristico; l’esperimento paga e Germi diventa un autentico snodo nella loro carriera e, in qualche modo, anche per il rock italiano. Nel 1997, Manuel Agnelli, Xabier Iriondo e Giorgio Prette – all’epoca il nucleo della formazione – sono pronti a dargli un seguito, ma il fallimento della Vox Pop, l’etichetta presso cui erano accasati, li lascia nella scomoda situazione di doversi trovare una nuova label. A credere in loro arriverà la Mescal. Hai Paura Del Buio? si riconnette non poco alle atmosfere di Germi, ma in maniera ancora più sostanziale affresca una forma rock capace di essere ruvida e distorta, spigolosa, e nello stesso tempo incredibilmente melodica, pop per certi versi. La metà degli anni novanta stanno vedendo un fiorire notevole di gruppi italiani che stanno facendo uscire l’indie-rock italico dagli scantinati – pensiamo al successo dei CSI, dei Marlene Kuntz, dei La Crus o dei Massimo Volume – ma è probabilmente proprio Hai Paura Del Buio? il disco simbolo di questa emersione, tanto da meritarsi l’appellativo di miglior disco indipendente degli ultimi 20 anni. Anche perché, ed è questa la cosa importante, la qualità dell’album è tale da giocarsela non tanto entro gli asfittici confini del nostro stivale ma, quantomeno in linea teorica, con le più grandi bands del grunge e del post-grunge dell’epoca. Avevamo finalmente i nostri Nirvana o, come suggerì qualcuno (forse lo stesso Agnelli), i nostri Smashing Pumpkins (il paragone fu con Mellon Collie!). Mix di ballate conturbanti, di attacchi punk al fulmicotone e di altri pezzi non meglio definibili univocamente, Hai Paura Del Buio? viene oggi ripubblicato in un edizione speciale, anche in occasione di un tour di undici date che, lungo il mese di marzo, attraverserà l’Italia ed in cui l’intero album verrà riproposto integralmente. Al CD originale, opportunamente rimasterizzato, viene aggiunto un secondo CD in cui tutto il disco è stato rivisto risuonato con la collaborazione di ospiti importanti. E se alcune versioni rimangono sostanzialmente fedeli o quasi agli originali – la sempre bellissima Male Di Miele con gli Afghan Whigs; Pelle, con un quasi irriconoscibile Mark Lanegan alla voce ed un bel solo di piano a chiuderla; la potentissima Dea col Teatro Degli Orrori; una solo leggermente più alleggerita Voglio Una Pelle Splendida con Samuel Romano; le punkettose Sui Giovani d’Oggi Ci Scatarro Su coi Ministri e Veleno con Nic Cester – altre riletture si discostano abbastanza. Penso ad esempio alla canzone che dà il titolo all’album, prima solo un grumo di rumore, oggi una sorta di delirio impro-jazz con Damo Suzuki alla voce; alla 1.9.9.6. rivista in chiave folk-rock da Edoardo Bennato, che aggiunge anche qualche riga di testo; alla Elymania molto ritmica, tra il sexy e l’allucinato, approntata coi Luminal; alla Senza Finestra pianistica e stilizzata di Joan As Police Woman; alla notevole Simbiosi con Le Luci Della Centrale Elettrica alla voce  e Der Mauer ad aggiungerci fiati funerei; all’Eugenio Finardi che vira in pezzo cantautorale Lasciami Leccare l’Adrenalina; all’intensità asciutta dei Bachi Da Pietra, tra i migliori in scaletta, in Punto G; alla visionarietà di John Parish in Terrorswing e dei Fuzz Orchestra con Vincenzo Vasi in Questo Pazzo Pazzo Mondo Di Tasse; all’intimismo folk di Piers Faccini in Come Vorrei; all’eleganza pop dei Marta Sui Tubi in Musicista Contabile o di Rachele Bastreghi in Mi Trovo Nuovo. Rimane da citare giusto Rapace coi Negramaro (con un a me indigesto cantato super enfatico) e due bonus track: l’ottima Televisione, pezzo in origine non presente sull’album bensì su un singolo, in cui compaiono Cristina Donà e The Friendly Ghost Of Robert Wyatt e una seconda Male Di Miele, con un Piero Pelù gigione quanto mai. In pratica all’album originale – su cui mi sono soffermato poco, dando per scontato che lo conosciate – è stato aggiunto un vero e proprio disco tributo allo stesso. E se il primo si merita sempre e comunque il massimo dei voti, per il secondo, riuscito ma non a quei stratosferici livelli, tre stelle e mezza dovrebbero bastare. Ad ogni modo, il giusto tributo ad uno dei dischi più importanti del nostro rock. E ci si rivede sotto il palco!

Lino Brunetti

L’album uscirà in tre formati: doppio CD  (CD  cover più la versione rimasterizzata dell’album originale); l’album in digitale con, in esclusiva per iTunes, il branoVoglio Una Pelle Splendida feat. Daniele Silvestri; box edizione deluxe in tiratura numerata e limitata (1000 copie) contenente due doppi vinili da 180 gr.  più il doppio CD (stesso contenuto su entrambi i formati). Qui sotto le date del tour:

  • 07.03 NONANTOLA (MO) – Vox Club (data Zero)
  • 14.03 MANTOVA, Palabam
  • 15.03 RIMINI, Velvet
  • 18.03 TORINO, Teatro Della Concordia
  • 21.03 BOLOGNA, Estragon
  • 22.03 S.BIAGIO CALLALTA (TV), Supersonic Arena
  • 24.03 MILANO, Alcatraz
  • 25.03 MILANO, Alcatraz
  • 26.03 FIRENZE, Obihall
  • 28.03 ROMA, Orion
  • 29.03 BARI, Demodè

CESARE BASILE @ Bloom, Mezzago 5 maggio 2013

Cesare Basile Foto © Lino Brunetti

Cesare Basile
Foto © Lino Brunetti

Nel contesto di una qualsiasi conversazione riguardo lo stato della musica italiana, è probabile che il nome di Cesare Basile sollevi nient’altro che espressioni di perplessità, eppure il cantautore siciliano è uno dei pochi artisti italiani di caratura internazionale (al momento il solo altro nome che mi viene in mente è quello di Vinicio Capossela), con una discografia ed un repertorio senza il minimo calo d’ispirazione: forse l’unica cosa che manca a Basile è proprio una carriera, anche se in tutti i modi ha cercato di costruirsela, formando e disfando rock’n’roll band, lasciando l’amata Catania per Roma, Berlino ed infine Milano, lavorando con John Parish e Hugo Race e pubblicando dischi come Gran Calavera Elettrica, Storia di Caino o l’ultimo omonimo, di certo annoverabili tra i momenti più ispirati della canzone italiana degli ultimi anni. Eppure nell’arco di un ventennio, a stento è riuscito ad uscire dall’anonimato, custodito come un segreto da un piccolo pubblico di appassionati che hanno saputo cogliere la poesia delle sue parole spesso dolenti, amare e scomode, così come il fascino di quei suoni magici e misteriosi, sospesi tra l’America e la Sicilia, tra una tarantella ed un disco dei Giant Sand. La tenacia comunque non sembra mancare a Cesare Basile e per promuovere l’ultimo splendido lavoro di studio, giustamente mette insieme una formazione straordinaria, composta dalle tastiere di Manuel Agnelli e dal violino di Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours; dalle ance di Enrico Gabrielli; dal basso di Luca Recchia e dalla batteria di Massimo Ferrarotto, per una manciata di date nelle principali città italiane. In Lombardia la location prescelta è il Bloom di Mezzago, ma seppur affollata, la sala non registra il sold-out che la musica di Basile meriterebbe e che la presenza di una parte degli Afterhours lasciava supporre: chi invece non ha deluso le aspettative sono stati i sei musicisti sul palco che hanno suonato un concerto fantastico, giusto al limite della perfezione, con un meraviglioso impasto di suoni sospeso tra rock, blues e musica popolare. Tra polverose atmosfere folk e furiose tempeste rock, Basile ha cantato di peccati e malinconia, di disagio e morte, d’amore e politica, alternando l’uso schietto e a volte crudo della lingua italiana alla musicalità del dialetto siciliano, una cadenza con cui ha pensato buona parte del suo ultimo disco. Gentile e generoso, Cesare Basile è un folksinger profondo ed intenso, ma anche un rocker trascinante e dall’animo scuro, assecondato dal superlativo violino di D’Erasmo, capace di lirici stacchi come di improvvise esplosioni soniche; dai mille superlativi fiati di Gabrielli; dal corposo basso di Recchia e dai precisi tamburi di Ferrarotto, mentre Agnelli da fondopalco riversa fraseggi di tastiera e cori sulle canzoni. Si parte con la nenia folk Presentazione e Sfida e un paio d’ore passano in un lampo tra momenti che evocano le atmosfere sghembe e desertiche di Howe Gelb; tra parole che seducono o commuovono come poesie, quasi fossero state messe in fila da Fabrizio De Andrè; tra sfuriate elettriche che profumano di oscurità e di Cattivi Semi, quando in sala risuonano le note della potente e bellissima Parangela; dell’aspra Canzone Addinucchiata, dell’impegnata Nunzio e La Libertà; della lirica A tutte ho chiesto meraviglia; della toccante ed intensissima ballata I Camminanti, di un’ombrosa Dite al Corvo che va tutto bene e di una grandiosa versione elettrica della splendida Fratello Gentile. In sala scrosciano gli applausi e Manuel Agnelli, dopo aver letto una poesia dello scrittore John Dos Passos, uno dei momenti più alti dello show, a sottolineare l’impegno che affiora in molte canzoni di Basile, guadagna il proscenio e regala alla platea Ballata per la mia piccola iena dei suoi Afterhours, con Cesare seduto alla batteria. Fosse nato a Londra o a Brooklyn, Cesare Basile sarebbe forse una rock’n’roll star; nel nostro curioso paese riesce almeno ad essere la voce più forte e profonda dell’underground italiano.

Luca Salmini

Rodrigo D'Erasmo Foto © Lino Brunetti

Rodrigo D’Erasmo
Foto © Lino Brunetti

Enrico Gabrielli Foto © Lino Brunetti

Enrico Gabrielli
Foto © Lino Brunetti

Manuel Agnelli Foto © Lino Brunetti

Manuel Agnelli
Foto © Lino Brunetti

 

AFTERHOURS “Padania”

AFTERHOURS

Padania

Germi/Artist First

Per penetrare questo nono album degli Afterhours – semplicemente, la più grande rock band italiana da vent’anni a questa parte – bisogna soffermarsi un momento sulla sua copertina: sopra vi è raffigurato un cancello che si apre su di un paesaggio gelido e nebbioso, un cancello che si apre su un nulla agghiacciante. Padania – titolo provocatorio che non allude certo (o comunque se lo fa, lo fa in sottile maniera metaforica) alla inventata patria dei tanti, farneticanti discorsi di una Lega Nord sempre più scollegata dalla realtà – parla di quel nulla. Le quindici canzoni di questo disco vanno a comporre i tanti tasselli di un unico discorso, tanto che questo lo si può senza troppi tentennamenti definire un concept album. Come accadeva per il Nebraska springsteeniano, anche qui, un cosiddetto luogo geografico diventa in realtà metafora di un malessere interiore, di un gelo che arriva a pervadere l’anima e ci rende sempre più distaccati da noi stessi. Non cito a caso il capolavoro del Boss, non tanto perché ci sia alcunché di springsteeniano a livello musicale in queste canzoni – lo vedremo – quanto piuttosto perché i temi che queste affrontano, hanno una comunanza evidente con la sensazione di impotenza e di smarrimento che i personaggi di Nebraska si trovavano a fronteggiare. Non dimentichiamoci poi che per anni gli Afterhours, dal vivo, hanno suonato una versione notevole di State Trooper, e vorrà pur dire qualcosa questo. Padania parla dello smarrimento che si prova quando vengono a mancare completamente delle coordinate in cui muoversi, del panico causato da una situazione che ci spinge ad inseguire desideri futili ed irrealizzabili, che non fanno altro che spingerci a diventare qualcosa di diverso da ciò che siamo realmente. Parla dei meccanismi stritolanti che tutte queste cose mettono in atto, dalla sensazione di totale impotenza, all’odio livido che s’innesta nell’animo umano. E’ senza dubbio un disco politico questo, un disco che racconta la nostra epoca e che, una volta tanto, per fare ciò non utilizza patetici slogan, non si gioca la carta facile dell’appartenenza ad uno schieramento o ad un altro, ma porta avanti un discorso tramite un linguaggio evocativo, poetico, denso di immagini vivide e ben più forti di qualsiasi retorica presa di posizione. Ma non solo per i suoi bellissimi testi Padania è un disco importante. A venticinque anni dall’esordio, anche musicalmente, gli Afterhours non hanno smesso la voglia di sperimentare. Con in formazione un gruppo di personalità artistiche tutte rilevanti – oltre al leader Manuel Agnelli, l’ormai stabilmente in formazione Rodrigo D’Erasmo (violino), i chitarristi Giorgio Ciccarelli e Xabier Iriondo (rientrato nella band dopo anni di distacco), il bassista Roberto Dellera, il batterista Giorgio Prette – del resto non potrebbe che essere così e questo disco, probabilmente, spiazzerà più d’un fan della formazione. In effetti forse mai erano stati così ostici e sperimentali, con molte delle canzoni attraversate da dissonanze, ritmi spezzati, destrutturazioni, stridori metallici ed esplosioni sonore. Nella bellissima Metamorfosi, che apre il disco, Agnelli spinge la propria voce andando a risvegliare il fantasma degli Area, mentre la musica è tutta un saliscendi guidata dagli archi allucinati di D’Erasmo. Proprio gli archi caratterizzano molte delle canzoni in scaletta, anche se, come è facile immaginare, non sono certo usati in maniera tradizionale per smussare gli angoli, quanto piuttosto per renderli ancora più acuminati. Canzoni al vetriolo come Spreca Una Vita, Fosforo E Blu, Giù Nei Tuoi Occhi, colpiscono come arroventati proiettili sonici, un pezzo memorabile ed illividito come Io So Chi Sono espone un beat marcato quasi funk, su cui s’aggiungono dei fiati al confine col free, in Ci Sarà Una Bella Luce un’andamento tutt’altro che lineare è lo specchio di un blues visionario, dove sono di casa grumi di distorsione rock, passaggi jazzati, squarci di melodia. Rientrano poi, un po’ di più nel canone Afterhours, un gruppo di canzoni bellissime come le potenti Terra Di Nessuno e La Tempesta In Arrivo, ballate di grande intensità come Costruire Per Distruggere (gran titolo), Padania, la conclusiva, lirica La Terra Promessa Si Scioglie Di Colpo. E’ un album che intriga ed affascina fin dai primi ascolti Padania, un disco che però, probabilmente, solo col tempo saprà dispiegarsi in tutta la sua fulgida bellezza. Ed intanto, rimaniamo incantati dal fatto che gli Afterhours possano ancora viaggiare a questi livelli. Enormi!

Lino Brunetti

PADANIA